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Quando il merito diventa un problema .......

10 Febbraio, 2023

Tutto inizia quando si forma il nuovo governo, il ministero dell’istruzione diventa ministero dell’istruzione e merito e si scatena la bagarre delle opinioni a favore e contro, quasi che il merito non sia mai stato l’incipit a cui tendere con lo studio e la formazione. 

La finalità della Scuola, di educazione -formazione- istruzione, è quella che troviamo scandita nella Costituzione all’art 3 e relativo art. 34. Il merito che naturalmente discende da questi assiomi è sempre stato un prodotto quasi scontato e non è mai stato al centro della discussione politica; l’averlo messo al centro del dibattito, ha aperto un momento storico nuovo dimostrando al paese la necessità di rivedere pratiche e azioni che immancabilmente richiamano il ruolo centrale della scuola e di chi vi lavora con impegno. la storia ci dice che non sempre l’innovazione ottiene facili consensi, ma i risultati poi restituiti alle nuove generazioni consolidano rafforzano la convinzione che è giusto investire risorse del cambiamento. Il dibattito che ne è nato ha rilanciato la relazione: merito-scuola di qualità- professionalità docenti, tirando accendendo i riflettori su un annoso problema: un possibile sistema di valutazione che tenga conto di indicatori di produttività e di qualità per il personale. Infatti proprio quest’ultima relazione è il motivo per cui tanta acredine si è scatenata sul nuovo nome dato al ministero e sul voler dare spazio alla tematica della meritocrazia. L’esperienza pregressa ci insegna che spesso abbiamo subito i cambiamenti e non ne siamo stati protagonisti. In questo momento storico è dalla scuola che deve partire la riflessione sul cambiamento. In Una società meritocratica il merito assurge a ruolo indiscusso e a volano del progresso civile, una società che mette l’istruzione pubblica al centro della formazione per tutti, veicolo di mobilità sociale, basata sul merito anziché sui privilegi.

L’istruzione è il compito fondativo della scuola a cui una società affida lo sviluppo del sistema di conoscenze che costituisce il proprio patrimonio culturale, il bene comune per eccellenza. È interesse di tutti che un medico sia scelto per il livello di competenza posseduto per occupare quella posizione e non per l’appartenenza a una classe sociale, o per la particolare intelligenza o, ancora, per l’appartenenza di genere o di etnia. Ciò significa un chiaro piano di investimenti nella istruzione  tenendo conto che le finalità della scuola è e rimane il primario veicolo di giustizia e di mobilità sociale se contribuisce a realizzare quella uguaglianza delle opportunità su cui si costruisce la futura uguaglianza dei cittadini. Oggi giorno tutti tastiamo con mano che la nuova generazione ha bisogno di nuovi input, ogni giorno ci relazioniamo con alunni da orientare. Per motivare allo studio e all’impegno è necessario però fare in modo che gli studenti colleghino i loro sforzi e i loro risultati a un giusto riconoscimento.

In questo modo anche i traguardi conseguiti più lentamente e con fatica diventano ricchezza, qualcosa di cui andare fieri perché dimostrano a sé stessi e agli altri il valore dell’impegno, delle competenze raggiunte, dell’autonomia conseguita. La scuola deve perseguire il merito attraverso l’inclusione. I due traguardi non sono alternativi e riconoscere il merito di ciascuno significa di fatto accogliere il risultato senza condizionamenti, quand’anche il processo è stato diverso o difficile.  Ciò significa ridare valenza alla funzione formativa della valutazione, che è il momento in cui si correggono o confermano le strategie di studio e di lavoro utilizzate, dagli studenti o dagli insegnanti, per raggiungere i risultati desiderati. È questo il momento di massima responsabilità degli insegnanti verso gli studenti.La scuola pubblica può essere strumento di crescita e di sviluppo solo se comprende le trasformazioni in atto, se le gestisce e le argina quando necessario. In una società civile e democratica che si fregia di voler educare i suoi cittadini ci sono precise responsabilità che vanno distribuite: ci sono responsabilità politiche e responsabilità pedagogiche, non si possono continuare a confondere i due livelli. E ci sono responsabilità degli allievi che vanno definite e indicate con chiarezza: a scuola il merito è l’attenzione, la cura che i bambini, i ragazzi, i giovani adulti in formazione si meritano dal mondo adulto, dalle istituzioni, dallo Stato, da tutti quelli che devono garantire educazione-formazione- istruzione. Le nuove generazioni si meritano adulti che sappiano fare gli adulti, docenti attenti e competenti, professionisti formati, selezionati e consapevoli, capaci di coinvolgerli e di aiutarli ad assumersi le responsabilità che l’essere allievo, persona, cittadino in formazione comporta. 

Parlare di merito è anche  parlare di una scuola che, partendo dall’analisi degli andamenti scolastici – livelli di competenze e dispersione- cerchi di potenziare le competenze di base e di sviluppare azioni strutturali per contrastare l’abbandono scolastico attraverso la personalizzazione dei percorsi per gli allievi che registrano maggiori fragilità, l’ avviamento a iniziative specifiche di accompagnamento, di formazione e di orientamento per contrastare la dispersione , il potenziamento  del tempo scuola con progetti e attività mirate per favorite la possibilità di accesso all’istruzione, l’attivazione di  azioni di mentoring e di orientamento, di coaching e di sostegno disciplinare. La scuola pubblica può, guardando con sguardo pedagogico al rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, fornire gli strumenti per comprendere la realtà in cui si vive ed agire da cittadini, per non essere spettatori inconsapevoli di gazzarre da social o mediatiche. Ciò che accade sempre più spesso nelle nostre scuole ci porta a prendere atto della frattura che si è creata tra scuola e società, tra insegnanti e genitori, della confusione generale tra diritto all’istruzione e cultura della rivendicazione, tra diritto alla trasparenza e pratica dell’ingerenza.

I vecchi paradigmi interpretativi e le regole che costituivano sistemi operativi sicuri, non funzionano più.  Riflettere sul fatto che la scuola oggi non ha gli strumenti né l’autorevolezza necessaria per scegliere tra una rigidità che non paga e un’amicalità che magari difende a breve dai bullismi e dai ricorsi, ma non consente la credibilità dell’istituzione né la relazionalità, né il rispetto della persona, né la motivazione ad apprendere, è il primo passo. Riflettere collegialmente e individualmente (e gli strumenti e le occasioni la scuola li possiede) per essere sicuri di ciò che si fa, di come si dirige e si organizza, di cosa si insegna e di come si insegna, di ciò che si esige e di ciò che si permette, di come si può essere ascoltati e rispettati è il primo passo: è partire dalle criticità.

Per sostenere ad alta voce le proprie scelte e i propri comportamenti bisogna prima conoscerne professionalmente le ragioni; questo consente quella consapevolezza che permette di essere sicuri; essere sicuri permette di non avere paura. Delle insicurezze dei grandi i ragazzi se ne accorgono fin dalla scuola dell’infanzia e sanno cosa farsene, ma è difficile crescere, costruire se stessi, senza avere modelli, senza una intensa e continua stimolazione cognitiva e di esperienze di elaborazione. Chi dovrebbe fornire quei modelli e quegli stimoli oggi fatica: genitori, insegnanti, adulti in genere. A un modo diverso di essere figli, allievi, giovani, non si riesce a trovare un modo nuovo di essere genitori, docenti, adulti in grado di costituire punti di riferimento valoriali e morali per la costruzione di un orizzonte comune di principi e di scopi nei quali riconoscersi e per i quali impegnarsi. A cominciare dalla politica e dalle istituzioni, famiglia e scuola in primis, occorre trovare un orizzonte verso il quale far convergere istruzione ed educazione, competenze disciplinari, trasversali e di cittadinanza, educazione ai valori e costruzione di identità.

Questo si meritano i giovani. In questo tempo che sembra assediato dal provvisorio, dall’apparenza, dall’inconsistenza del luccicante, è urgente ritrovare il senso dell’educare all’esistenza che si realizza in un tempo e in uno spazio: del sapere, dell’insegnare e dell’apprendere ciò che è essenziale, coltivando l’utopia di costruire il migliore dei mondi possibili nel quale condurre una vita equilibrata, scegliendo- in base ai tempi e alla temperie culturale- percorsi che consentano una formazione aderente agli scenari del presente e alle possibilità delle fisionomie che si profilano per il futuro. La profondità della conoscenza richiede un tempo non contratto. Richiede di riconoscere che il processo di apprendimento (l’imparare) postula uno sforzo da parte dell’allievo, e non solo talenti ereditati, sottolineando nel contempo la responsabilità dell’insegnare. Un insegnare, che sottolinea l’asimmetricità nei rapporti studente-docente e può fondare solo sull’autorevolezza di chi insegna.

Maria Serrone 

admin
10 Febbraio, 2023