Skip to main content

Perché si parla ancora di mortalità scolastica?

08 Luglio, 2023

Per definizione, con mortalità scolastica si intende la percentuale di alunni che abbandonano la scuola prima di averla completata.

Il termine “mortalità” è stato talvolta sostituito da “dispersione scolastica”, il che toglie sicuramente drammaticità al linguaggio, ma non toglie nulla alla sua natura multidimensionale. Infatti, nella dispersione scolastica, rientrano i mancati ingressi nel contesto scolastico, l’evasione dall’obbligo scolastico, gli abbandoni scolastici, tutti i proscioglimenti dall’obbligo scolastico senza il conseguimento del titolo di studio, le ripetenze, le frequenze irregolari, i ritardi rispetto all’età regolare di frequentazione, l’assolvimento formale dell’obbligo formativo, la qualità scadente degli esiti del percorso di studio.

Il fenomeno più grave, che ancora colpisce l’Italia, è che uno studente su quattro non arriva al diploma, il che equivale esattamente al 30,6% degli iscritti al primo anno delle superiori; gli studenti maschi sono più propensi a lasciare il loro percorso scolastico rispetto alle studentesse; tra le scuole secondarie di secondo grado, gli istituti professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale sono quelli più colpiti dalla mortalità scolastica; e, soprattutto, le regioni meridionali sono le più interessate dal fenomeno.

Dati 

Sono attualmente 222 milioni i minori nel mondo che vivono in contesti di crisi e necessitano di supporto per l’istruzione, di cui 78,2 milioni non frequentano più la scuola.

In Italia, le disuguaglianze territoriali si configurano come un fil rouge in negativo, che attraversa le diverse dimensioni della “povertà educativa” in Italia. Guardando in dettaglio i dati sulla mortalità, soprattutto nella scuola superiore, emerge infatti una forte disparità geografica. Nelle regioni meridionali, nonostante una riduzione consistente avvenuta nell’ultimo anno in particolare in Puglia (-4,3%) e in Calabria (-3,8%), permangono percentuali di dispersi alla fine del percorso di istruzione più elevate rispetto alla media nazionale, con una punta del 19,8% in Campania. 

Secondo le prove INVALSI, in Campania, Calabria e Sicilia più del 60% degli studenti non raggiungono il livello base delle competenze in italiano, mentre quelle in matematica sono disattese dal 70% degli studenti in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.  Il 9,7% degli studenti con un diploma superiore nel 2022 si ritrova in condizioni di dispersione “implicita”, cioè senza le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro o dell'Università, mentre il 12,7% dei minori non arriva neanche al diploma delle superiori, perché abbandona precocemente gli studi (mortalità “esplicita”). Anche in questo caso, il confronto con l’Europa è pesante, visto che l’incidenza della mortalità scolastica, nonostante i progressi compiuti, in Italia resta tra le più elevate in assoluto, dopo quella della Romania (15,3%) e della Spagna (13,3%), ed è ben lontana dall’obiettivo del 9% entro il 2030 stabilito dalla UE. Il numero dei NEET (Not in Education, Employment or Training) in Italia, i 15-29enni che si trovano fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione, raggiunge il 23,1% ed è addirittura il più alto rispetto ai paesi UE (media 13,1%), segnando quasi 10 punti in più rispetto a Spagna (14,1%) e Polonia (13,4%), e più del doppio se si considerano Germania e Francia. 

Anche stando all’ultimo rapporto “Alla ricerca del tempo perduto: un'analisi delle disuguaglianze nell'offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana”, elaborato da Save the Children, organizzazione internazionale lotta per salvare le bambine e i bambini e gli adolescenti in pericolo, il 12,7% dei minori non arriva neanche al diploma delle superiori, perché abbandona precocemente gli studi. 

Il settimanale L’Espresso, a sua volta, ha analizzato le presenze e le dinamiche degli studenti di licei, istituti tecnici e professionali dal 1995 al 2019 (prima della pandemia), evidenziando, ad esempio, che il problema degli abbandoni è più accentuato nelle regioni del Sud e che gli istituti professionali sono quelli che perdono più iscritti. Ci sarebbe anche un risvolto economico, oltre che sociale: negli ultimi 20 anni sono stati ben 3,5 milioni gli adolescenti italiani che hanno rinunciato agli studi; ora, partendo dalle stime Ocse, secondo le quali lo Stato investe sull’istruzione secondaria quasi settemila euro all’anno per studente, ci sarebbero ben 55,4 miliardi di euro di investimento andato in fumo; in media, circa tre miliardi di euro all’anno!

Cause 

I fattori, considerati predittivi del rischio di insuccesso formativo, sono di natura sia soggettiva, che sociale.  Oltre ad una maggiore incidenza del sesso maschile, ad un maggiore numero di alunni con Bisogni Educativi Speciali, con vissuti vari di disagio e dinamiche che portano all’autoemarginazione e al disadattamento personale, cioè alunni deboli sotto il profilo dell’autodifesa e dell’autostima, bisogna considerare anche gli elementi di contesto. 

Vivere nelle regioni meridionali dell’Italia e nelle zone urbane degradate, porta a notevoli tassi di insuccesso a partire dalla scuola primaria, scollamento ed emarginazione nella realtà sociale extrascolastica, devianza. Ci sono poi fattori di contesto familiare, come lo svantaggio socio-linguistico e culturale-economico, il basso titolo di studio dei genitori, o anche una cultura familiare che considera non importante il livello culturale.

Non mancano neppure gli elementi intrinseci alla scuola stessa: oggi i percorsi di studi offerti dalle scuole superiori risultano, agli occhi degli adolescenti, troppo teorici e lontani dagli interessi da loro graditi. La rigidità del sistema scolastico rispetto agli interessi e alle esperienze degli studenti, con poca cura per l’emersione dei talenti, un nozionismo che si accompagna ad una bassa flessibilità delle materie e della loro organizzazione curricolare, un atteggiamento selettivo, uno stile comunicativo e metodologie didattiche inadeguate e lontane dalle problematiche che stanno a cuore agli studenti, attività di orientamento che risultano insufficienti o inefficaci, modalità di valutazione basate prevalentemente su procedure standardizzate, una scarsa tendenza all’apprendimento delle competenze e al riconoscimento di ciò che è appreso al di fuori della scuola, una comunicazione inefficace tra scuola, famiglia e territorio, e un’elevata complessità organizzativa degli istituti superiori, sono tutti fattori che non incoraggiano al proseguimento degli studi.

Una scuola più forte e capace di ridurre le disuguaglianze e rispondere ai bisogni reali dei territori sarebbe anche la migliore risposta, fondamentale per la loro integrazione, alla sfida degli studenti con background migratorio, che rappresentano il 10,3% degli iscritti nelle scuole italiane di ogni ordine e grado (a. s. 2020-21). 

Inoltre, gli insegnanti potrebbero agire più direttamente sulle classi, ma anche loro sono soggetti ad una mancanza cronica di stabilità e di continuità, nonché ad una scarsa formazione specifica. Sarebbe possibile identificare per tempo alcuni segnali del particolare e distaccato rapporto tra scuola e studente, se la scuola fosse davvero inclusiva, e sarebbe possibile creare condizioni di apprendimento commisurate alle caratteristiche degli allievi, scegliendo le strategie più idonee alla motivazione psicologica di ciascuno. 

Conseguenze

La mortalità scolastica penalizza i ragazzi non solo nel presente, ma anche in quello che sarà il loro futuro; infatti, coloro che non posseggono un titolo di studio superiore, non riescono in genere ad ottenere un impiego nell’ambito lavorativo. Questo fenomeno, ostacolando la ricerca di un lavoro, aumenta il rischio di disagio economico e sociale, perché genera situazioni occupazionali instabili, che, nel corso del tempo, aumentano il rischio di ricadere in quelle stesse condizioni che hanno contribuito in origine a causare l’abbandono. Non a caso, le stesse regioni che mostrano una percentuale di mortalità scolastica più alta, sono quelle che hanno un tasso di occupazione più basso (2023): dunque un fenomeno è legato all’altro!

Chi ha un’istruzione più bassa è destinato il più delle volte ad un futuro fatto di lavori sottopagati e precari, che potrebbero comportare l’esclusione sociale. Gli studenti che si fermano alla terza media rischiano di diventare NEET, causando enormi problemi al nostro tessuto sociale. 

Naturalmente, è importante dire che vi sono delle eccezioni e che non tutte le persone che abbandonano la scuola vanno incontro allo stesso futuro, ma sicuramente le probabilità di incorrere in queste problematiche aumentano. 

In secondo luogo, abbandonare la scuola precocemente comporta altre conseguenze, tra cui:

  • costi sociali elevati causati dal capitale umano meno qualificato;
  • aumento dei tassi di criminalità;
  • depressione e frustrazione personale, derivanti dal fatto di non essere riusciti a concludere il proprio percorso;
  • limitato sviluppo economico e sociale di tutta la nazione. 

Conclusioni 

È fondamentale quindi aumentare significativamente, più che diminuire, le risorse per l'istruzione, portandole al pari della media europea (5% del PIL). È evidente, infatti, che i fondi attualmente previsti sono già oggi insufficienti a garantire un’offerta educativa di qualità, con spazi e servizi a tutti. Limitare l’abbandono scolastico dev’essere una delle priorità del nostro governo, affinché sempre più giovani capiscano l’importanza dell’istruzione e portino a compimento la fine del loro percorso.

Gli insegnanti hanno a loro disposizione diversi strumenti per rendere la scuola un luogo piacevole in cui questi ragazzi possano sentirsi accolti e non giudicati, per far ritrovare loro la motivazione allo studio, che sono possibili attraverso attività che li invoglino ad esprimersi e a confrontarsi con i loro coetanei senza doversi necessariamente sentire sotto esame. 

Ad esempio, prevedere dei piani di apprendimento individuali o degli incentivi finanziari per le famiglie economicamente più svantaggiate; dare il sostegno linguistico ai ragazzi stranieri che diminuisca il tasso d’abbandono tra gli ultimi arrivati; prevedere attività extracurriculari, laboratori, uscite didattiche e sostegno psicopedagogico; coinvolgere direttamente i genitori; adeguare tutti i territori, nonostante il calo demografico; insomma, le pratiche da adottare per evitare la dispersione scolastica sono veramente tante, ed è arrivato il momento di attuarle per far sì che questo fenomeno diminuisca invece di aumentare. 

Bonaccini Silvia

admin
08 Luglio, 2023