NEURODIVERSITÀ E NEURODIVERGENZE. INNOVAZIONE E FORMAZIONE ALLA CREATIVITÀ

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Le persone cosiddette ‘disabili’ non vivono nella società unicamente come categorie diagnostiche. Purtroppo, l’idea contraria a quella sopra descritta persiste - immagino, anche in ragione del vantaggio tratto da tutti quei soggetti che covano idee di consumo dell’essere umano - ma è un’idea strampalata.

 Le persone cosiddette ‘disabili’ hanno bisogno di essere percepite, pensate, collocate e rappresentate nella società, nella loro interezza e secondo istanze di autorappresentanza e quindi anche di autodeterminazione.

Per tali ragioni, nel presente articolo, si intende argomentare di ‘Neurodiversità’ e ‘Neurodivergenze’,  non secondo paradigmi medici, bensì, secondo una prospettiva sociale.

Partiamo col dire che il concetto di ‘neurodiversità’ non si riferisce ad un’etichetta diagnostica, ma rappresenta tutte le possibili varianti dello sviluppo neurologico umano. Le ‘neurodivergenze’, invece, sono specifiche espressioni neurologiche che divergono dalla media (Autismo, Sindrome di Tourette, DSA, ecc.). 

Neurodiversità è il concetto corrispondente a quello di bio-diversità, per interderci.

Quindi, neurodiversità include tutte le persone, anche quelle a sviluppo tipico. Ciò che è posto in evidenza è l’aspetto della ‘variabilità’, che è un aspetto insito nella vita stessa e non a questa estraneo, oppure, rispetto ad essa, estemporaneo. Rispetto alla vita, è la variabilità ad essere la norma!

Personalmente, ho sempre trovato le domande più interessanti delle risposte. Ragione per cui, lancio una domanda: qual è l’esatto contrario di ‘Neurodiversità’? Forse, per rispondere bisogna temporaneamente mettere da parte il prefisso ‘neuro’.

Allora, secondo il dizionario ‘Treccani’, il contrario di ‘diversità’ è,: ‘affinità’, ‘analogia’, ‘somiglianza’, ‘uguaglianza’. Forse, diversamente, da ciò che, precipitosamente si è portati a concludere, si potrebbe dire che il contrario di diversità, più che con ciò che è “normale”, ha a che fare con ciò che è “tipico” – concetto utilizzato, non per escludere le differenze fra un individuo e l’altro, ma per ridurre al massimo valutazioni soggettive di tipo morale o valoriale verso un determinato comportamento. 

La  sostituzione, nelle ricerche neuro scientifiche, del termine “normale” con il termine “tipico” è un suggerimento dell’autrice Harriette C. Johnson nel suo “Behavioral Neuroscience for the Human Services. Foundations in Emotion, Mental Health, Addiction, and Alternative Therapies, Oxford University press, february 2014.

Seconda domanda: esiste una nozione precisa di ‘Normalità’?

Dalla letteratura sulla questione, si evince che il concetto della ‘normalità’ è un costrutto di derivazione culturale (non esiste, in natura, la ‘normalità’!), basato sul ‘principio della maggioranza’. Ora, dove c’è una maggioranza, ci deve necessariamente essere una minoranza. E, se la maggioranza è rappresentata dalle persone  ‘normali’, la minoranza dovrebbe essere quella rappresentata dalle persone ‘diverse’ rispetto alla norma. Ma la norma, come si è detto poc’anzi, è caratterizzata dalla ‘variabilità’. E poi, la norma, nel contesto di discussione, è un dato puramente statistico.

Se ancora persiste la tendenza a pensare e trattare come patologico ciò che differisce dalla cosiddetta norma, è solo una questione di lenti.

“Attraverso una lente, le ‘ossessioni’ di un bambino sono sintomo di ‘disturbo’ o di ‘malattia’ e sono associate alla disabilità. Attraverso un’altra lente, le implacabili sperimentazioni e le osservazioni dettagliate di un bambino sono il prodotto di una mente il cui motore di ricerca di schemi funziona in overdrive e può portarlo a inventare e, talvolta, a diventare un grande inventore.” Così scrive S. Baron-Cohen a proposito di soggetti con menti critiche, che analizzano e sperimentano continuamente, proprio come quella che può essere delle persone autistiche.

S. Baron Cohen scrive di essere infastidito quando sente uno psichiatra chiamare il comportamento ripetitivo di un bambino  RRBI (‘Repetitive and Restrictive Behavior and Interests’), perché tutta la scienza, la Medicina compresa, sarebbe RRBI , dal momento che ogni scoperta scientifica, così come ogni invenzione, realizzatesi nel corso dei secoli, sono avvenute attraverso la ripetizione.

Dunque, una società normo-centrica, è una società ingenua, che va contro se stessa. È una società che oppone resistenza alle innovazioni. È miope, gretta.

Una società che guarda lontano, che è in grado di innovarsi, va oltre le formule e le soluzioni politicamente corrette, per individuare ed adeguare gli aspetti fondamentali di una questione rilevante e, se necessario, sovvertire universi simbolici. Per ciò che concerne la tematica in questione, uno degli aspetti fondamentali è sicuramente rappresentato dal linguaggio scelto per rappresentare determinate categorie di persone,  evocare significati e, dunque, attribuire adeguato valore sociale.

 Il linguaggio può creare barriere sociali, che, troppo spesso, per molte persone, diventano barriere all’ autoaffermazione. Da qui, l’importanza di una corretta narrazione di destinazione sociale delle persone che divergono dalla cosiddetta norma.

Il linguaggio scelto in relazione alle disabilità e, in generale, alle divergenze, ha tanta parte nel creare le lenti con cui si guarda il mondo. Modificare il linguaggio scelto, per adattarlo, partendo, auspicabilmente, dalla ratifica dello stesso da parte delle persone direttamente interessate, è espressione di una precisa volontà politica, in favore di adeguate risposte a specifiche istanze di tipo sociale.

Una società lungimirante annienta il gioco di potere tra maggioranze e minoranze e non si accontenta di onorare lodevoli iniziative quali, per citarne una, ‘La Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo’, ma ne trae spunto di riflessione e di ricerca continua. Altresì, essa pone giusta attenzione alle attività di realtà quali il ‘Consiglio Europeo delle Persone Autistiche’ (EUCAP) e movimenti, associazioni, organizzazioni  che, presenti nel Paese, si occupano di neurominoranze e disagio sociale - vedasi, per citarne alcune: Associazione ‘Neuropeculiar APS’, membro di EUCAP, fondata e guidata (si oda bene!) da persone autistiche, che si occupa di Autismo e Neurodivergenze; ‘Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale’, che supporta, con formazione, informazioni e servizi, le persone con disabilità e loro famiglie.

Ancora, una società avveduta pretende una scuola versatile e innovativa, che non solo tutela le diversità, ma le promuove, facendo leva sulla risorsa docenti, opportunamente formata e motivata a cercare percorsi e strategie nuove e diversificate nell’interesse del successo formativo di tutti e di ciascun discente.

Un punto di partenza per porre in essere processi realmente innovativi a scuola è rappresentato dalla formazione dei docenti alla creatività, in grado di sollecitare al massimo, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie, il potenziale delle risorse umane che vi sono coinvolte, fornendo elementi di feedback - utili anche a scoprire e ad imparare ad utilizzare i propri talenti - e un ritorno in termini di capitale di conoscenze, abilità e atteggiamenti da investire nella pratica didattica quotidiana.

Formazione alla creatività significa opportunità di sperimentare i vari canali espressivi  per scoprire e insegnare la libertà espressiva. Significa cercare vie per ‘tentare di comprendere l’incomprensibile’, per usare un’espressione del regista coreano, da poco scomparso, Kim Ki Duk (l’Arte ci viene sempre in soccorso nella lettura del mondo!).

Perché partire dalla formazione alla creatività per innovare?

Perché innovare significa trovare e porre in essere forme nuove di fare le cose. Innovare vuol dire anche modificare schemi mentali condizionanti, superare la staticità ed eventuali resistenze ai cambiamenti, trovare soluzioni inedite ai problemi e scoprire stimoli nuovi. Innovare vuol dire imparare a mettersi sul dorso e provare a stare a galla per non essere risucchiati dalle sabbie mobili.

Anna Rita Cancelli, docente. Laurea in Pedagogia conseguita presso Università del Salento con voto 110/110 e Lode; Master universitario di I livello in “Legislazione Scolastica e Management della Negoziazione” conseguito presso Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Perugia. Perfezionamento in “Storia della Filosofia” conseguito presso Università del Salento. Perfezionamento in “Psicologia di Comunità e Empowerment delle donne. Le identità di genere nell’epoca post-moderna” conseguito presso Università del Salento. Specializzazione biennale  polivalente per le attività di sostegno conseguita presso  Università del Salento. Partecipazione al corso della Provincia di Lecce per “Esperto dell’approccio integrato ai minori a rischio di devianze” nell’anno 1997. Operazione matematica preferita: la sottrazione.

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