SCUOLA, PANDEMIA, SICUREZZA E FICHI SECCHI

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La scuola avrebbe dovuto essere il posto più sicuro del regno ma la “tregua” estiva, purtroppo nullificata dalla condotta delle singole regioni, che hanno allentato la maglia del controllo e abbassato la guardia, contrariamente alla previsione, ha favorito l’anticipazione della seconda ondata, che adesso spaventa. La promessa, era ovvio, non poteva essere mantenuta e, intanto che il Paese si affanna a rincorrere il virus, a scuola, la Sars.CoV2, entra e fa piovere quarantene, sospensioni didattiche, chiusure di plessi e interi istituti.

 Duole constatare, fuori dalla polemica sterile, che la distanza sociale e tra le rime buccali  non basta a limitare i contagi. Nel contesto pandemico, non sono ammesse improvvisazione né approssimazione, gli attori dovrebbero prevedere azioni precise e rigorose che mal si conciliano con le esigue risorse messe in campo dal decisore politico. Più che proclami, sarebbero servite e servono regole certe, risorse umane e materiali. Anche in questo frangente, la scuola sembra confermarsi la solita Cenerentola cui infliggere, impunemente, bizzarre soluzioni. 

Resta che stare a scuola inizia a generare paura, i dubbi della prima ora, iniziano ad assumere i contorni più definiti, la realtà  mette in luce, ancora una volta, la fragilità del sistema sanitario, evidenziando l’eterogeneità delle regioni dello stivale che, infatti, appaiono, nella mappa dell’evoluzione pandemica con indici di gravità differenti. Ai numeri impietosi, tuttavia, la ministra non ha potuto opporre alcunché, le indicazioni del Cts, con il DPCM del 3 novembre, hanno decretato la fine delle lezioni in presenza per tutte le scuole secondarie di secondo grado. 

Una decisione che manda in frantumi le certezze della ministra che ha fatto della scuola aperta una questione ideologica, a tratti, oltre che personale, incomprensibile, e non certo perché si intenda mettere in dubbio il sacrosanto diritto allo studio e la naturale necessità di aggregazione di adolescenti e bambini. Siamo animali politici e sociali ma se le condizioni non lo permettono, il diritto allo studio non può che essere collocato secondo, rispetto al diritto alla salute di cui il datore di lavoro si deve fare garante. 

E si deve far garante, soprattutto laddove la prevenzione si leghi indissolubilmente alla condotta non solo personale ma di terzi che, in una comunità, qual è la scuola, assume preciso significato e ovvie conseguenze, un positivo, può mandare a casa più di una classe, soprattutto se è un docente, soggetto com’è all’ingresso in più classi. La paura non è il male, anzi è funzionale all’attivazione dell’allerta, quindi all’evitamento del pericolo. Ciò che genera ansia e panico, sono l’incertezza, l’instabilità di regole e procedure. 

Nell’emergenza non si naviga a vista, questa dovrebbe essere la prima regola. Muoversi in un contesto minaccioso e imprevedibile è stressante. L’assenza di prevedibilità, di certo non favorisce la serenità già turbata dalla vista di banchi abitati da volti bardati, restati senza bocca, parola e mutilati nell’espressività. Gli improbabili corsi di formazione, i referenti e le aule Covid, meno che mai i banchi con le ruote, non bastano a far percepire il controllo della situazione, la sicurezza dell’ambiente di lavoro.  

La scuola, di fatto, resta l’unico luogo in cui è ammesso l’assembramento e non all’aria aperta ma nello spazio ristretto di un’aula. Pensare che le finestre aperte possano assolvere il compito di ripulire l’ambiente dalle particelle virali, rilasciate da soggetti positivi, fa sorridere. Nei paesi civili hanno dotato le scuole di adeguati sistemi di filtraggio. Com’è noto, l’effetto aerosol, contribuisce alla propagazione virale che può trovare, persino nella congiuntiva, la sua porta di accesso. 

Sarebbe abbastanza ma non è tutto, all’origine della situazione, c’è il fallimento della  strategia delle “treT” (tampone, tracciamento e trattamento), i tamponi a tappeto, avrebbero permesso tempestive diagnosi e conseguente tracciamento, evitando l’esasperazione di un quadro che con l’impennata precoce, ha saturato il meccanismo e rallentato i tempi, a danno delle classi che finiscono nel limbo dell’attesa che tra l’ansia di scoprire la diagnosi – gli asintomatici sono tantissimi - ha conseguenze non solo sull’attività didattica ma sulla psiche.

Secondo gli psichiatri, infatti, dallo stress ingenerato, scaturirebbe la sindrome da “accerchiamento”, la sospensione innaturale fatta di ansia e attesa, avrebbe effetti sull’umore, naturalmente, a seconda della personalità dei soggetti. Insomma, le implicazioni sono svariate e diverse da quelle generate dal primo impatto, fortemente connotato dall’ignoto e dall’angoscia di un cambiamento violento e repentino che, almeno all’inizio, forse per  la condizione generale di isolamento, ci ha fatti sentire comunità. 

Duole che nell’raffazzonamento di note che si inseguono, contratti in via di definizione per promettenti lockdown, buchi normativi che penalizzano anche i lavoratori fragili, costretti a destreggiarsi in veri e propri gineprai, il ministro faccia sentire solo l’eco della frase ormai consunta “La scuola non deve chiudere”,  nessuno la vorrebbe chiusa ma nemmeno aperta con i fichi secchi. 

SONIA MELIS Sono una pedagogista sui generis, la mia formazione è stata fortemente orientata all’approfondimento della filosofia, tanto che anche la mia tesi di laurea fu di filosofia morale, in specie "Pareyson: il tema del male e la dottrina della libertà", docente specializzata nel sostegno, da circa vent’anni, credo anche sia arrivato il tempo di dare una svolta, prima o poi insegnerò filosofia in un liceo …Già mediatrice famigliare, ho lavorato nei servizi sociali e in una comunità per minori, in misura cautelare, in qualità di pedagogista, attualmente, associo all’insegnamento nella scuola primaria, la docenza per conto dell’Università Degli di Sassari, Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione, Scuola di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità e presso enti di formazione privati. Collaboro da anni con lo studio “Peralta – design & consulting”, in qualità di consulente, ho curato,  in particolare, la predisposizione degli ambienti di apprendimento e il rapporto tra pedagogia e architettura, per la progettazione e riqualificazione di diversi edifici scolastici situati in Sardegna e nella penisola https://www.professionearchitetto.it/news/notizie/24545/Luca-Peralta-vi-racconto-la-mia-scuola-Nzeb-che-stimola-i-sensi .  Tuttavia, la mia passione più grande resta la scrittura, già collaboratrice della Redazione cultura de La Nuova Sardegna, collaboro con riviste online, redigo atti di convegni e frequento la Scuola di Specializzazione di scrittura Reading School, dell’Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali. Adoro cucinare e non potrei vivere senza il mare.     

 

 

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