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L’emergenza del Coronavirus in Italia ha rappresentato un’occasione di avvicinamento alle possibilità offerte dal digitale per le pratiche relative alla comunicazione, all’educazione e al consumo.

Il mondo del lavoro ha trovato nello smart working una soluzione per andare avanti, soprattutto nelle Regioni maggiormente colpite. Allo stesso modo, il mondo della scuola si è mobilitato per affrontare la sospensione delle attività didattiche con lezioni online e la formazione a distanza.Moltissime Istituzioni scolastiche e singoli docenti si sono trovati davanti alla necessità di pensare (o ripensare) come portare avanti i programmi, come fare lezione e assegnare i compiti da casa, attraverso l’interazione nelle classi virtuali e nelle video conferenze. Iniziative ed eventi online pubblici e privati, organizzati dalle scuole stesse o dalle aziende leader del mercato digitale, si sono moltiplicati per offrire informazioni ed assistenza. La proposta del digitale in classe, già in essere in molte scuole, è diventato il punto cardine per mettere in campo gli ambienti e gli strumenti utili per costruire una solida comunità di buone pratiche e apprendimento.Questa improvvisa accelerazione verso la tecnologia ha ancora una volta portato alla ribalta la spinosa questione dell’ormai inevitabile utilizzo del digitale nella didattica. 

E’ passato quasi un secolo dalla riforma Gentile e, all’apparenza, sembra che da allora molto poco sia cambiato. Dal 1923 i banchi sono rimasti nella stessa posizione, rivolti verso la cattedra e la lavagna, indice di un’impostazione frontale della didattica.A quel tempo era importante trasmettere le informazioni, le conoscenze e i saperi noti. Oggi invece le informazioni sono a disposizione di tutti e ciò che è diventato indispensabile è selezionare le fonti, distinguere i fatti dalle opinioni, leggere e capire, farsi delle domande e trovare risposte qualificate. Insomma sviluppare il pensiero critico.La scuola, lenta ad attuare i cambiamenti che avvengono nella società, si è trovata ad affrontare un’emergenza senza essere adeguatamente pronta. Eppure migliaia di docenti si sono impegnati per non interrompere il dialogo educativo e per trasformare l’incertezza in un’opportunità di collaborazione con gli alunni e le famiglie, sempre in rispetto del GDPR.Spesso gli studenti si lamentano dello scollamento tra il mondo reale e ciò che si trasmette a scuola e l’alto tasso di abbandono scolastico ne rappresenta il fallimento formativo. Non sempre gli alunni riescono a trovare il senso del perché vanno a scuola e a cosa serve imparare.

Il vuoto da riempire e il cambiamento di passo richiesto potrebbe essere supportato proprio dalle tecnologie digitali che durante quest’ultimo periodo sono state la soluzione all’isolamento forzato. Per avere un reale impatto, esse però presuppongono di rivedere l’insegnamento in maniera radicale.Le neuroscienze spiegano che non si impara solo per trasmissione dei contenuti, ma bisogna essere parte attiva del processo. Per rendere l’apprendimento significativo, quindi, sono necessarie esperienze pratiche. Una didattica che non li vede protagonisti, allontana i ragazzi dalla scuola. Al contrario una metodologia basata sul coinvolgimento e sulla motivazione garantisce equità e successo per tutti. Negli ultimi anni sono stati sperimentati e si sono consolidati tanti approcci innovativi: il debate, la classe capovolta, il coding sono alcuni esempi. Il minimo comune denominatore è l’apprendere dagli altri e con gli altri, considerare l’errore un’opportunità di riflessione, partecipare. 

Un ulteriore stimolo deriva dai media e dagli strumenti tecnologici a supporto di questa nuova didattica. Si creano gruppi di lavoro per risolvere problematiche insieme e per imparare in modo efficace. Saper rielaborare criticamente le informazioni, padroneggiare argomenti, sostenere una tesi, sono competenze fondamentali per l’esercizio della cittadinanza. Organizzare i pensieri e utilizzare le nuove tecnologie in maniera corretta sono le abilità richieste nel lavoro e per una cittadinanza digitale.La Società di oggi è complessa e cambia continuamente ad una velocità esponensiale. Tra dieci anni la metà dei mestieri che ci saranno ancora non esistono. Saranno, quindi, importanti l’empatia, la flessibilità, l’agire in modo autonomo e consapevole. Invecchieranno i saperi, ma non le capacità critiche, le soft skills e il problem solving, al momento non presenti nelle valutazioni esplicite.E’ il docente che deve entrare nel mondo degli studenti, che non è più quello del secolo scorso, ma è quello di oggi, fatto di strumenti tecnologici accattivanti e divertenti, che facilitano l’apprendimento e la capacità di attenzione.

La motivazione non è apriori ma si costruisce insieme, proponendo situazioni sfidanti e occasioni per sviluppare la creatività e valorizzare la crescita personale e collettiva. Essere un insegnante è una responsabilità che si esplicita nel ruolo di regista durante il processo di apprendimento degli alunni, ma anche nella formazione professionale e in un aggiornamento continuo.Il bisogno di lavorare a distanza è sopraggiunto senza preavviso, ma mette in evidenza la necessità e la volontà di cambiare, grazie e attraverso una didattica basata sulle piattaforme cloud, con ambienti e strumenti di collaborazione e interazione, con contenuti didattici digitali che rispecchiano la realtà dei tempi del Coronavirus e oltre.

Mi chiamo Stefania Altieri. Sono insegnante e formatrice, ambasciatrice Scientix e moderatrice eTwinning di un gruppo tematico europeo sul coding, sono coordinatrice regionale per l’Emilia Romagna del movimento RosaDigitale e sono appassionata di TIC e di didattica digitale. Credo fermamente nel ruolo dell’insegnante nella formazione delle nuove generazioni per un futuro migliore e responsabile

 

 

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