Dalla teoria alla prassi … e adesso come me la cavo? Impressioni, emozioni, ansie e certezze di una neo dirigente alle prese col suo primo incarico.

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Dopo anni di studio matto e disperatissimo, dopo aver superato tutti gli step di un concorso che ha visto momenti di forte tensione e stress emotivo, dopo aver passato indenne l’estate con la sua altalena procedural-amministrativa (il TAR annulla tutto … il Consiglio di Stato sospende …) e col suo immancabile strascico di polemiche mediatiche, l’un contro l’altro armati, a fine agosto eccomi finalmente giunta, a Torino, alla firma del contratto da dirigente scolastico.

Mentre con i 148 colleghi “piemontesi” (si fa per dire, più della metà arriva dal centro o dal sud Italia …) stringo la mano dei funzionati dell’Ufficio Scolastico Regionale presenti al fatidico evento, ancora non mi sono ben resa conto che, da quel momento, cambierà radicalmente la mia vita, e non solo quella professionale.Perché ho deciso di intraprendere questa strada, tutta in salita? Ho superato la cinquantina, da quasi trenta insegno e vivo quotidianamente il mio rapporto dialettico, di odio-amore, con la scuola. Un rapporto caratterizzato da una grande passione ma al tempo stesso da un sottile senso di frustrazione e insoddisfazione, di anno in anno sempre meno latente e sempre più difficile da contrastare. Sono ormai arrivata a un bivio: o mi lascio trascinare dalla corrente, tirando i remi in barca, come si suol dire e, come fanno molti docenti disillusi, tirando a campare sui binari di una routine ormai sperimentata da anni (per carità, sempre con competenza e professionalità, ma senza grosse emozioni …), oppure getto il cuore oltre l’ostacolo, esco dalla mia zona di confort e affronto l’ignoto. E’ la mia ultima chance nella scuola, l’ultima carta da giocare per cambiare le carte in tavola, per passare a un altro tavolo di gioco.Chi me lo ha fatto fare? Non certo la prospettiva di lauti guadagni, che sino ad ora non si sono certo visti (ad oggi continuo a percepire il mio stipendio da docente). Nemmeno l’idea distorta di poter gestire un fantomatico potere. Ho avuto modo di conoscere parecchi presidi, nella mia carriera di insegnante. Pochi mi hanno lasciato, non dico un segno, ma almeno una buona impressione.

Non ho conosciuto nessuno che si presentasse come un leader carismatico. Anzi, i più o se ne stavano “bunkerizzati” in una sorta di splendido isolamento in presidenza, trincerandosi dietro ai formalismi e al burocratese, o cercavano di imporre il loro volere in modo rigido e unidirezionale, ottenendo immancabilmente reazioni che andavano dalla palese opposizione alla resistenza passiva. Cosa avrei potuto fare io di diverso? Una cosa era certa, un’idea mi era chiara. Volevo guardare la macchina dall’alto, cambiare il punto di vista, passare dal vedere il singolo albero al considerare la foresta nel suo insieme. Riuscire a cogliere quella visione “ologrammatica” e organicistica che è alla base della gestione di una istituzione scolastica. Una scuola è un organismo vivente, fatto di carne, di sangue, di organi vitali. Un organismo che ha la sua fisiologia e le sue patologie. Ogni parte, seppur piccola, che la compone, concorre alla vita e al benessere del tutto, alla sua “serendipity” organizzativa. Mi scuso per la banalità di questa metafora biologica, che ricorda un po’ l’apologo di Menenio Agrippa, ma non ne trovo di più calzanti. Sarei stata in grado di far funzionare al meglio questo enorme carrozzone con la sua anarchia organizzata? E poi, ero animata da un’idea romantica, quella di poter cambiare in meglio il corso delle cose, di poter concorrere a far raggiungere agli studenti, ai nostri ragazzi, il loro successo formativo. Insomma, avevo la convinzione di poterli aiutare a realizzare i loro sogni e le loro ambizioni.

 Sono tra i pochi fortunati che hanno ottenuto la dirigenza di una scuola vicino a casa. Si tratta di un istituto tecnico, una scuola ben organizzata sul versante della didattica, con due ottimi collaboratori, un corpo docente collaborativo, ma con una segreteria un po’ deficitaria (manca il DSGA e si è verificato in passato un rilevante turn over di assistenti amministrativi). Incontro, en passant, a fine agosto, la dirigente uscente che, prima di involarsi verso altri lidi, fa in tempo solo a darmi due o tre dritte (che subito, ovviamente, dimentico), a illustrarmi un paio di magagne che dovrò sbrogliarmi da sola (contenzioso, disciplinare) e a consegnarmi un grosso mazzo di chiavi. Le chiavi della scuola. Dal due di settembre, sono io il capitano della nave, e devo cercare di farla uscire dal porto senza commettere grossi errori di manovra. E così si salpa, non puntando subito verso il mare aperto, ma cercando di bordeggiare sotto costa, utilizzando i pochi strumenti (teorici) acquisiti con lo studio per il concorso.

 

Ma, come si sa, un conto è la teoria, un altro è la prassi. Sin dal primo giorno ho l’impressione di essere finita in una sorta di enorme frullatore, nel quale non ho un attimo di requie, dal momento in cui varco la soglia della scuola a quando me ne vado, esausta, a casa. Non ho più orari, perdo addirittura la nozione del tempo. Nel corso del primo mese perdo anche il sonno: mi capita spesso di svegliarmi in piena notte, con i pensieri che riaffiorano prepotenti alla coscienza, e di doverli in qualche modo fissare e irregimentare, per iscritto, per non dimenticarli la mattina dopo. Le richieste di aiuto e di intervento si affastellano, mi giungono da ogni dove e ad ogni piè sospinto. Dal genitore angosciato che mi chiede di trasferire la figlia in un’altra classe, agli studenti che si lamentano del cattivo rapporto con un docente, al collaboratore che ti cerca per risolvere un problema organizzativo, all’assistente che ti rincorre per farti firmare le carte, al bidello che si sfoga per aver litigato con un suo collega. Ed io cambio ruolo ogni momento, da counselor a tecnico del diritto, da padre confessore a esperto di organizzazione, da referente didattico a manager, pur rimanendo unica e inscindibile nella mia solitudine, nelle mie molteplici responsabilità e nella necessità di dover prendere, ogni minuto, delle decisioni, di dover fare delle scelte, che siano quelle giuste per risolvere i problemi che vengono continuamente sottoposti alla mia attenzione. 

Ma io adesso sono il Dirigente (con la D maiuscola), un Essere salvifico inviato dal Destino per risolvere tutti i problemi, un’Entità dotata di poteri eccezionali, che con la sua semplice presenza può rassicurare circa il fatto che, alla fine, tutto andrà come deve andare. E così, dopo aver depositato il loro invisibile fardello sulla mia scrivania, tutti se ne vanno, tranquilli e sereni, certi di averlo lasciato nelle mani giuste. Io, allora, mi devo fare carico di quel fardello, non posso trascurarlo finché non ho risolto il problema. Così, sin da subito, devo affrontare le mie prime carenze e le mie insicurezze, la paura di essere inadeguata. Non bastano le conoscenze acquisite con lo studio, bisogna sviluppare sul campo competenze che inizialmente non si hanno, bisogna farsi le ossa, acquisire esperienza, consapevoli del fatto che capiterà sempre qualcosa di inedito, di inaspettato, che non è stato affrontato prima. E quindi sarà necessario iniziare da capo, studiare la questione, saper applicare la normativa ma al tempo stesso saperne cogliere la ratio, per usarla come strumento e non come fine, saper adottare il buon senso, la ragionevolezza e una discreta capacità creativa, saper prevedere gli sviluppi possibili di ogni situazione. In una parola, sarà necessario imparare a rendere la propria professionalità operativa, a trovare la soluzione che meglio si adatta al caso concreto, scegliendola tra le molteplici soluzioni che si possono prospettare. Confidando, anche, perché no, in un pizzico di fortuna e nel miracolo per cui, ogni mattina, tutti si alzano e vanno a scuola e alla fine della mattinata (salvo sporadici e circoscritti episodi), tutti se ne vanno avendo fatto quello che dovevano fare.

Mi è però chiaro, sin da subito, che mi devo sforzare di evitare di incorrere in un atteggiamento mentale, o meglio in una tentazione, che è sempre in agguato: quella di bloccarmi, per paura di prendere una decisione, correndo il rischio di inceppare il motore della macchina che, fino ad ora, si è mossa, nel bene o nel male, sui binari di una prassi ormai consolidata.Certo, all’inizio non è semplice. Bisogna muoversi con cautela, cercando di non fare passi falsi, oscillando continuamente tra due estremi: la necessità di apportare sin da subito, in modo graduale ma deciso, un cambiamento che vada nella direzione del miglioramento (intervenendo, ad esempio, per modificare quelle prassi inveterate che spesso sono scorrette, se non illegittime, e contrastando la naturale resistenza mentale di chi ti dice che “abbiamo sempre fatto così”), da una parte e, dall’altra, l’opportunità di mantenere intatto un impianto organizzativo e valoriale che va rispettato ed anzi sarebbe controproducente modificare o alterare. Soprattutto da parte di chi, come me, è alle prime armi e deve ancora uscire dalla fase del rodaggio. Facendo quindi un primo “bilancio delle competenze”, a due mesi dalla mia presa di servizio e dall’inizio di questa incredibile avventura, posso dire non tanto di essere arrivata a delle conclusioni certe e granitiche ma, quanto meno, di aver raggiunto una consapevolezza che mi fa ben sperare circa gli sviluppi futuri.

Innanzi tutto, sono sempre più convinta che, per fronteggiare il magmatico flusso di esperienze, casi e problematiche che continuamente attraversa, in un perenne dinamismo, la vita della scuola, mi è certamente più congeniale interpretare un’idea di dirigenza, o meglio di leadership, sempre situazionale e adattiva, per non dire resiliente, nello spazio e nel tempo.Inoltre, non va dimenticato che la scuola è una comunità educante, un’intrapresa collettiva, di cui è sempre fondamentale saper interpretare il Weltgeist, mettendosi continuamente in discussione e cercando di muovere il più possibile contesti, avviare processi, sollecitare un dialogo costruttivo con tutte le sue componenti, per trasformare gli adempimenti in opportunità di innovazione didattica e di miglioramento, per passare dalla scuola del “tu devi” alla scuola del “noi vogliamo”. Per ottenere questi risultati, è necessario partire dalle risorse (umane, prima ancora che strumentali), che si hanno a disposizione, con il giusto realismo ma al tempo stesso con la speranza di attuare una disseminazione per contagio o per emulazione, in un clima il più possibile inclusivo e collaborativo.

Infine, sarò in grado io, appena arrivata, di determinare il corso del fiume? Spero di sì, e ce la metterò tutta per realizzare la mia visione della scuola, certamente non da sola ma con il concorso attivo di tutte le sue componenti. Nel frattempo però, posso condividere una forte emozione, che mi ha colta, all’improvviso, quando mi sono presentata, con grande trepidazione, al mio primo collegio dei docenti. Nel momento in cui, senza che me lo aspettassi, il collegio mi ha accolta con un battimano, ho avuto la netta sensazione che quello non fosse un gesto di semplice opportunistica piaggeria, ma che tutte quelle persone lì riunite mi volessero trasmettere un messaggio: “Cara neo dirigente sei la benvenuta e noi siamo qui per lavorare insieme a te, abbiamo fiducia in te e insieme miglioreremo la scuola”. Questa sensazione, che ancora mi accompagna e che sono convinta non sia frutto di un momentaneo abbaglio emotivo, si è a sua volta trasformata in un’idea: quella di essere al posto giusto e di non volere più fare altro, ormai, se non il dirigente scolastico. 

Barbara Maduli, Dirigente scolasticaNata a Novara il 15 agosto 1966, dopo aver conseguito la maturità classica presso il Liceo Classico "Carlo Alberto" di Novara nel 1985, mi sono laureata in lettere con indirizzo classico a Pavia il 22/2/1990 (110/110 e lode). Ho intrapreso la mia carriera didattica insegnando latino e greco presso il liceo ginnasio l.r. "San Gaudenzio" di Novara. Nel 1991 ho conseguito le abilitazioni all'insegnamento per le classi di concorso A050 (materie letterarie negli istituti tecnici), A051 (Italiano e latino nei licei), A052 (latino e greco al liceo classico) e in materie letterarie nelle scuole medie inferiori.

 

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