lettera aperta da parte di un docente di scuola Secondaria

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Al Signor Presidente della Repubblica

  1. Prof. Avv. Sergio Mattarella

Palazzo del Quirinale - Roma

 

Al Signor Presidente del Consiglio,

  1. Prof. Avv. Giuseppe Conte

Palazzo Chigi - Roma

Al Signor Ministro dell’Istruzione

  1. Prof.ssa Lucia Azzolina

Ministero dell’Istruzione - Roma 

 

Oggetto: lettera aperta da parte di un docente di scuola Secondaria

 

Pregiatissime Autorità e Rappresentanti del Popolo Italiano,

chi scrive è un docente di ruolo di Scuola e dottore di ricerca in Storia Medioevale. Mi permetto di scrivere alle SS. LL. II. per esprimere il ringraziamento più sentito per l’immane sforzo e per l’egregio lavoro svolto nella gestione di questa pandemia che non solo ha mietuto vittime, ma soprattutto ci ha obbligati a una quarantena ed a un ripensamento copernicano di tutte le nostre abitudini e certezze. 

Non saranno stati sicuramente provvedimenti presi a cuor leggero, bensì frutto di una intensa sinergia – come è sempre giusto che sia –  tra gli specialisti e di una attenta osservazione della propria coscienza, di un quotidiano ripensamento del proprio agire e del proprio operato, che è il più significativo discrimine tra la levatura di politico e quella, ben più altra e rappresentativa, di statista. 

Non solo la pandemia, ma anche la conseguente recessione economica europea e globale: più che doveroso è il ringraziamento per l’attenzione posta ai più disagiati e anche agli ultimi della società e a tutte le scelte messe in atto per evitare un conflitto sociale che troppo spesso si sente sbandierare dai cialtroni populisti della politica, dei quali in questo momento così critico siamo davvero stanchi e annoiati, sempre pronti alla demagogia e al concetto del ‘distruttivismo’ dello Stato etico e di diritto. 

Sono cattolico come mio intrinseco pensiero, ma laico come docente, come uomo e nell’agire quotidiano: il valore della tolleranza, dell’apertura e del confronto è sempre stato il tripode del mio operare; le mie convinzioni, essendo appunto tali, devono rimanere nella sfera del privato e non dell’agire ‘pubblico’. 

Nelle scelte da Loro compiute, come non trovare un richiamo all’ideale più alto Socialista della centralità della dignità umana e della fratellanza tra i popoli, ma come non trovare una eco anche nel Compendio della dottrina Sociale della Chiesa (§§ 330, 331), in particolare nella enciclica Quadragesimo Anno, dove Pio XI afferma “Sebbene l’economia e la disciplina morale, ciascuna nel suo ambito, si appoggino sui principi propri, sarebbe un errore affermare che l’ordine economico e l’ordine morale siano così disparati ed estranei l’uno all’altro”.

Infatti, come in ambito morale si deve tener conto delle ragioni e delle esigenze della economia, operando in campo economico ci si deve aprire alle istanze morali, come ricordato nella Gaudium et spes (63-AAS 58, 1966) quando si sostiene “Anche nella vita economico-sociale occorre onorare e promuovere la dignità della persona umana e la sua vocazione integrale e il bene di tutta la società. L’uomo, infatti, è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”.

Compito del governante – come Ella sempre mostra, Signor Presidente della Repubblica, con la Sua gravitas, la Sua dignitas, la Sua humanitas e la Sua bonomia capace di infondere sicurezza e fiducia nelle Istituzioni – è quello di cercare le strade più durature al benessere dei concittadini e, soprattutto, quello di essere sempre propositivi e attenti ai bisogni di tutti:

Compito del governante è, come Ella ha mostrato, Signor Presidente del Consiglio, quello di prendere scelte impopolari, anche al costo di perdere – nell’immediato – punti percentuali di consenso; nell’immediato, però, perché la dimensione coraggiosa dello statista è proprio quella di prendere scelte impopolari ma che siano poi foriere di un rilancio e di un maggior benessere degli Italiani e del loro futuro, come già fece De Gasperi negli anni coraggiosi delle Sua attività politica.

Autorità, grazie per aver difeso – e lo dico da europeista assolutamente convinto e fautore di una vera integrazione tra i popoli d’Europa, devolvendo sempre più maggiori quote di sovranità nazionale a favore della Unione Europea, che deve davvero diventare una federazione – l’Italia e con Essa gli interessi delle popolazioni più economicamente deboli d’Europa, facendo capire che il miglior modo per affrontare questa emergenza non è procedere singolarmente, ma affrontarla collegialmente e in maniera integrata. 

Grazie, Signor Presidente Mattarella, e grazie, Signor Presidente Conte, per aver avuto il coraggio della discussione europea: grazie al Loro coraggio e al Loro puntare ‘i piedi’, se mi è consentita l’espressione colloquiale che, però, rende immediato il concetto, si è salvata l’identità e il concetto stesso del sogno europeo e della visione di Altiero Spinelli, del Manifesto e di tutti i Padri fondatori d’Europa. Si è finalmente dimostrato come il giusto rigore e la necessaria flessibilità, in questo caso, possano e, anzi, debbano andare di pari passo.

Abbiamo dovuto mettere in discussione tutte le nostre certezze e sicurezze, ma abbiamo visto che insieme, e col sacrificio di tutti, possiamo farcela e possiamo ripartire meglio di prima, in quell’afflato di popolo che si vede nei momenti più bui della Storia! Abbiamo visto quanto l’uomo inquini l’ambiente e abbiamo constatato la potenza della natura che si è ripresa gli spazi e ripulito aria e fiumi.

Ma ora è necessaria una ripartenza prudente e giustamente piena di attenzioni!

Giungo qui alla nota più dolente: l’incertezza sulla riapertura delle scuole e sullo svolgimento assolutamente poco adeguato del momento formativo degli esami.

Autorità, la Scuola – intesa come istituzione – rappresenta, per la sua stessa missione, e si caratterizza, per sua valenza, come il fulcro attorno al quale si costruisce il cittadino, si forma e gestisce lo Stato e rappresenta la cartina al tornasole per valutare il grado di democrazia, maturità e serietà di uno Stato.

Nonostante le ultime riforme scolastiche siano state più che altro distruttive dell’impianto scolastico e della vera e reale formazione degli alunni, svuotando la scuola della sua eticità formativa e facendola diventare quasi un mero apparato burocratico (quasi sempre a discapito di una vera e seria preparazione di un ragionato bagaglio di competenze), la Scuola, tuttavia, rappresenta ancora una eccellenza italiana.

Essa, infatti, per il rigore e la serietà del corpo docente, è vista ancora come un polo fondamentale di crescita ed è il più alto momento di formazione dell’homo e del civis, appunto per la sua valenza formativa assoluta.

Il docente è sì un mediatore della cultura ma è in primis un educatore dotato di quella humanitas che è il prerequisito essenziale per poter svolgere al meglio il proprio compito, tenere relazioni proficue con le famiglie e, in ultimo, ascoltare, sostenere e incoraggiare i discenti nella propria crescita formativa: se un docente esiste è perché c’è un discente che ne ha bisogno!

Ma la quarantena ha spezzato tutto ciò: chi scrive - assieme a tantissimi altri colleghi della propria scuola, ma il discorso vale per tutta la categoria dei docenti - si è subito attrezzato, ritornato nella propria abituale residenza, per tenere vivi i contatti con i propri alunni e supportarli in questo tragico momento per loro e per cercare di mantenere in piedi una didattica, ben prima che si attrezzassero le piattaforme scolastiche. 

Autorità, come spesso capita, gli slogan sono sempre distaccati dalla realtà dei fatti: sono anni che si parla di digitalizzazione delle scuole e che esiste il “Piano Nazionale per la Scuola Digitale”, con un forte sperpero di denaro e corsi assolutamente inadeguati nella realtà, quando nelle scuole c’è difficoltà a fare le fotocopie o le aule hanno finestre rotte e i computer nelle classi (quando ci sono) sono assolutamente obsoleti e la connessione internet è molto discontinua e assolutamente inadeguata a far funzionare simultaneamente i computer in ogni aula o nei laboratori; questo per non parlare della digitalizzazione degli alunni o delle loro famiglie. 

Eppure, la scuola ha mostrato anche in questo momento la sua propositività e il suo spirito di adattamento e ha cercato di fare l’impossibile: ma non illudiamoci che la “Didattica a distanza” sia la panacea.

Essa presenta estreme criticità, come l’impossibilità di svolgere tutto l’orario delle lezioni (sia per la Scuola che l’Università), il distacco dagli alunni che impedisce un controllo e un aiuto o una spiegazione immediata, il basso range di attenzione, una freddezza telematica che non tutte le fasce d’età riescono a tollerare bene a lungo, l’impossibilità di effettuare immediate spiegazioni quando si ravvisano criticità, connessioni altalenanti da parte degli alunni e dei docenti.

Insomma, è un metodo che può servire per brevi periodi o per alcune tipologie di lezione, ma non per tutte. 

Ma analizziamo più nel profondo il problema: nonostante il cospicuo finanziamento erogato all’inizio della quarantena per far acquistare vari supporti informatici alle scuole, non tutte le famiglie sono state raggiunte.

Penso, tra gli altri, ai miei cari alunni ROM che con tanta fatica e tanto amore e orgoglio venivano a scuola per seguire le lezioni (chi scrive è docente in una scuola a Spinaceto, periferia di Roma), cercando anche un riscatto dalle loro tristi condizioni (come ad esempio il I premio agli alunni e il I premio al docente come miglior metodologia storica al concorso nazionale MIUR-Isime “Raccontare il Medioevo, IX ed., anno 2019). 

Ebbene, si deve tener presente che nessuna delle loro famiglie spesso ha un cellulare con accesso a internet, né le famiglie hanno una  alfabetizzazione e competenze per poter sottoscrivere un modulo di comodato d’uso e tantomeno per avviare un computer.

Non dimentichiamoci che nei campi ROM vivono in roulotte con quindici persone dentro e di sovente non hanno cibo, acqua e luce (l’acqua e il cibo sono portati da vari enti caritatevoli una o due volte alla settimana e con il lockdown nemmeno) e ciò rende impossibile una didattica efficace; si consideri che nel periodo di maggior criticità è stato assai arduo tenere i contatti e solo grazie alla Croce Rosse Italiana e alla Comunità di S. Egidio è stato possibile, mentre il sottoscritto ha cercato di ovviare con telefonate quasi quotidiane. 

E che dire dei ragazzi diversamente abili? Seguiti costantemente da noi docenti, diventati punti di riferimento, e all’improvviso ricaduti sulle spalle delle sole famiglie, con tutti i disagi del caso, privati dei loro supporti psicologici, delle cooperative specifiche di aiuto e delle figure degli OEPA, gli assistenti che li seguivano in tutto e fornivano un aiuto immenso. 

Inutile dire quanto, in una situazione già gravissima e deficitaria, si sia ampliato a dismisura il carico di lavoro e di incombenze delle famiglie (e non dimentichiamoci che erano anche loro in smart working), questo per vari mesi.

Ma la situazione non è stata delle più rosee nemmeno con il resto degli alunni che vivono situazioni che dai più verrebbero etichettate come ‘normali’, con famiglie culturalmente preparate e alte possibilità alle spalle: sulle famiglie è ricaduta una fatica improba e, oltre allo smart working, hanno anche dovuto seguire i loro figli nell’apprendimento e nei rapporti con noi docenti, che abbiamo dovuto giocoforza instaurare un filo diretto coi genitori alle prese anche loro con ansie, panico e problemi a seguire i loro figli. 

Questi ultimi, poi, sono i protagonisti del disagio maggiore, con crisi d’ansia – che è toccato a noi docenti placare, dovendo sopperire anche alla mancanza degli sportelli d’ascolto psicologici attivi nelle scuole (non inseriti in nessuna piattaforma scolastica) – e una frustrazione da parte dei ragazzi che si sono sentiti togliere una parte del loro futuro e della loro necessaria formazione. I concetti  e le frasi che quasi sempre compaiono nei loro elaborati o nelle videolezioni con loro sono:

“Spero tanto che la scuola riapra al più presto […]. Questa nuova didattica a distanza per me risulta un po’ difficile ma è l’unica cosa per tenerci uniti e cercare di continuare il nostro percorso scolastico […]. Il tempo qui trascorso davanti al computer non è lo stesso di quello della scuola perché la tecnologia può solo soddisfare i nostri bisogni in maniera astratta […]. Anche in questo momento i professori non ci hanno mai abbandonato e fanno sempre di tutto per noi, ma sento nostalgia del rapporto dal vivo con loro […]”

oppure,

“Spero che la scuola possa riaprire il prima possibile, anche perché la Didattica a distanza è efficace sino a un certo punto, perché non riesce a coprire tutte le lacune in una materia perché a casa, a differenza di un’aula, hai molte più distrazioni come il telefono o il computer stesso e non riesci a stare concentrato costantemente […], però ciò serve anche a stare in contatto e raccontarci le sensazioni brutte che ci assalgono ogni giorno, sovrastate però dalla speranza che tutto questo possa finire a momenti”

o, infine, 

“[…] In questo periodo, soprattutto, ogni cosa mi fa riflettere e ho capito ancora di più l’importanza dello studio e della scuola […]. Adesso sono passati quasi tre mesi ed è una tortura […]. 

La maggior parte di noi a scuola studiava otto/nove ore al giorno, invece adesso si studia purtroppo solo poche ore al giorno. Lavorando poco, la pigrizia sta conquistando sempre più potere. Non mi va di sforzarmi a scrivere a mano e trovo invece sempre un modo per scrivere sulla tastiera del computer, perché basta un ‘click’ e non mi stanco. Ultimamente penso tantissimo e mi manca il tempo trascorso in aula coi compagni e i professori […]. 

Ciò non può essere sostituito dalle lezioni online, perché noi alunni abbiamo il limite dello schermo e del microfono […]. Io spero che troveranno una situazione il prima possibile. Nell’ultimo giorno di scuola della prima media avevo deciso di fare due cose: superare gli esami e fare la partita di pallavolo contro i professori. Non vorrei mai lasciare questa scuola senza averlo fatto”.

Autorità, con questa mia lettera aperta ho voluto presentare Loro uno spaccato della nostra scuola, come il Signor Ministro, della quale è noto l’attaccamento e dedizione alla scuola, provenendo da quei ranghi, ben sa.

Tuttavia, si rischia di far crescere una generazione di ragazzi che possa avere non solo profonde paure, ansie e fragilità, ma alla quale manchi soprattutto un tassello importante nella crescita e nella loro formazione culturale e anche esperienziale. 

La scuola è composta dal binomio formazione ed esperienza e, Signor Ministro, anche questa è fondamentale nella crescita delle persone (quanti ricordi dovute all’ansia la notte prima degli esami e quanti momenti legati all’ultimo giorno di scuola); La prego, onorevole Azzolina, di voler tener conto di tutto ciò. 

Già la scuola paga una fortissima pecca a causa dell’abolizione del vecchio esame di quinta elementare  – e così facendo allontana questo momento che è assolutamente formativo e prepara gradualmente a evitare i disagi e lo stress psicologico di affrontare a tredici anni il primo esame – ma un esame per gli ultimi anni della Secondaria di I e II grado così come proposto è davvero poco costruttivo e anonimo. 

Noi docenti chiediamo di lavorare e di poterlo fare bene, di poter stare vicino effettivamente ai nostri ragazzi, di non far mancare loro questa costruzione importante nel loro percorso di studi e di vita, altrimenti si rischia davvero un buco nero nella conoscenza e nel bagaglio di esperienze di questi futuri cittadini. 

Si deve garantire a tutti gli alunni, che terminano un ciclo scolastico, il diritto al ‘rito di passaggio’ codificato nei modi, nei tempi e negli spazi scolastici, anche perché dopo più di due mesi la Didattica a distanza deve cedere il passo alla didattica vera, dell’animo e delle sinapsi, che deve di nuovo essere il catalizzatore della conoscenza e dell’interesse dei ragazzi. 

Insegnare non vuol dire solo parlare e spiegare davanti a un computer, ma anche dare una carezza ai ragazzi, fermarsi per aspettare gli altri in difficoltà, interrompere una lezione e analizzare e parlare insieme di un fenomeno, seminando dubbi e trovando risposte, stimolando la curiosità e l’interesse dei ragazzi.

Autorità, la lezione è un rapporto dare-avere tra discenti e docenti, è una costruzione del pensiero e della conoscenza, non una semplice chiacchierata davanti a un computer oppure a una lavagna digitale, ma una operazione che richiede il cervello e il cuore. Una carezza o un rimprovero a scuola possono salvare un ragazzo e fargli intraprendere una nuova via, ma questo con la Didattica a distanza non è possibile.

Inoltre, c’è un 20% di ragazzi, riportano le statistiche per difetto, che è escluso dalla connessione a internet e dai device o le cui famiglie non hanno alfabetizzazione di base e tecnologica. Per loro, quindi, è fondamentale una didattica in presenza per non acuire ancora di più le differenze e non esacerbarle. 

Questa di oggi è una Didattica dell’emergenza, ma attenzione a non confondere i piani: la Didattica a distanza, infatti, sta creando un pernicioso gap sociale, come mostra anche il “Movimento di Cooperazione educativa” in un recente webinar.

L’accesso alle nuove tecnologie può integrare e arricchire la didattica, ma l’accesso allo spazio democratico della scuola è l’unica garanzia per costruire inclusione e cittadinanza e per non perdere e gettare tra le braccia della delinquenza o abbandonare alla dispersione scolastica una fascia ampia della nostra platea scolastica composta da cittadini del domani.

L’Italia non se lo può permettere e perciò è fondamentale aprire al più presto le scuole con uno sforzo straordinario unendo gli sforzi di tutta la comunità educante, ovviamente in sicurezza, e all’inizio i ragazzi potrebbero mantenere le visiere come già taluni lavori richiedono ai dipendenti e si dovrebbero incentivare le buone prassi della corretta educazione e convivenza. 

Passato il momento critico del contenimento, ora si devono preparare i ragazzi a convivere col problema ed a usare tutte le precauzioni, continuando una vita non solo normale, ma soprattutto formativa.

Quale occasione migliore per creare una vera riforma della scuola, finalmente abolendo tutte quelle superfetazioni disastrose degli ultimi trenta anni, che vada di pari passo con un enorme piano di edilizia scolastica e con l’immissione in ruolo anche dei tanti precari che in questi anni stanno mantenendo in piedi l’Istituzione scolastica.

Magari i fondi potrebbero essere reperiti dai tanti sprechi, un per tutto INVALSI, che, così come sono strutturati, davvero alla scuola non servono a nulla e depauperano di una enorme potenzialità i finanziamenti che potrebbero essere erogati alle scuole per una vera modernizzazione?

Inoltre, Autorità, la mancata riapertura della scuola (e tanti ragazzi, a causa di una prima sospensione di quindici giorni e poi di tutte le altre succedutesi non hanno potuto prendere libri e tastiere lasciate in aula, soprattutto, ma non solo, i ragazzi del tempo prolungato che studiano a scuola) fa trapelare il messaggio che la scuola sia meno importante dei bar, dei ristoranti, dei parrucchieri e di tutto l’apparato statale e/o produttivo, ma sappiamo che non è così. 

Le precauzioni e le misure per una necessaria sicurezza scolastica si possono e si devono prendere anche ora, per non far passare il messaggio assolutamente distruttivo e irreparabile che l’istituzione scolastica sia meno importante degli apparati produttivi, quando in realtà, a seconda delle specifiche peculiarità, sono entrambi importanti. Anche lo studente, con la sua corretta derivazione latina, è un lavoratore: lo studente è, infatti, colui che studia e che si forma e prepara alla vita del domani.

Per avere un rapporto con Dio, e lo dico da cattolico praticante, non è necessario riaprire le chiese, in quanto il credente può pregare ovunque e Dio è in ogni luogo; per una Confessione o per i Sacramenti si può prendere appuntamento col proprio parroco in tutta sicurezza e la messa si può sentire in streaming, come mostrato anche da Sua Santità Papa Francesco quotidianamente da Santa Marta.

Eppure, le chiese si riaprono, ma la scuola no, con tutte i problemi sopra enunciati e nonostante così proseguendo si aumenti il gap socio-culturale di buona parte della platea scolastica, si emarginino sempre più gli strati sociali più deboli e si crei un pernicioso vulnus entro le giovani menti in formazione.

Autorità, ringrazio per aver voluto leggere questa mia lettera, una voce proveniente dal basso, un cahier de doléances da parte di un docente, il cui scopo è solo quello di sottoporre a chi ha l’onere e il privilegio di governare l’Italia le criticità di una perdurante Didattica a distanza, per non parlare del vuoto sindacale, contrattuale e normativo per quanto concerne la valutazione, ma sorvoliamo per ora sulla questione docimologica. 

Facciamo ripartire l’Italia in sicurezza e gradualmente, come giustamente il Governo sta facendo, e riapriamo le scuole e facciano finire l’anno scolastico con una parvenza di normalità, magari prevedendo dei corsi di recupero estivi per i ragazzi rimasti indietro con la Didattica a distanza e con proroghe dei contratti dei precari al 31 agosto. 

Noi docenti ci stiamo perché saremo sempre disponibili alle richieste dello Stato, ma lo Stato ascolti, nel proprio interesse, i consigli dei professionisti della scuola che, nonostante le enormi difficoltà, profondono il loro impegno continuo e costante.

Signor Presidente della Repubblica, non ci possiamo permettere una nuova stagione nella quale la dispersione scolastica fornisca manovalanza alle Organizzazioni criminali o che non si tengano in adeguata considerazione le criticità di una fetta della popolazione alla quale si allontana lo studio a causa delle contingenze tristi che ben conosciamo.

Grazie mille per la disponibilità all’ascolto e per il lavoro faticoso che le SS. LL. II. stanno svolgendo. Buon lavoro a tutti, perché solo così l’Italia e l’Europa si rialzeranno insieme.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              Francesco Li Pira

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