“L'anno che verrà” “La didattica che verrà: cattedra e banchi nel virtuale, la lezione trasmissivo-immersiva”

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Come immagino la didattica che verrà nello sconfinato ed incerto universo storico dell'“antropocene del coronaviriano”? Certo la mia idea – eidos, come forma delle cose e in questo caso della didattica -, volendo argomentare con dialettica aristotelica dipende dal mio punto di vista, dalla mia esperienza, dalla mia professionalità nonché dalla mia competenza e, dunque...se la didattica la immaginassi così.... ecco se potessi immaginare si incontrerebbero e si darebbero la mano due pratiche educative agli antipodi, molto agli antipodi, per “età” e per “qualità”.

La didattica frontale, si proprio quella arida e fredda, a dire di tanti, con  un recente insegnamento, uno di quelli innovativi per comprenderci, in particolare quello che si configura, a mio giudizio, come un “deep teaching”, con significato metaforico, intendendo, con questo, un insegnamento “sommerso” ma solo perché vissuto e praticato in un mondo parallelo al reale, in un universo fantastico virtuale dove tutto è possibile e dove vive una fervida e ricca comunità educante.Un meraviglioso “mondo di Alice”, io dico, pieno di risorse, ricco di strumenti, dagli spazi sconfinati e con possibilità senza tempo...ecco se io prefigurassi questo fatidico incontro “amichevole”, e non di scontro, come fino ad ora è capitato, o, almeno, hanno voluto che capitasse, tra la lezione frontale e l'innovazione, nello specifico, della didattica propriamente detta immersiva.... mi chiedo, a questo punto, come dovrebbe essere la scuola e quale organizzazione dovrebbe avere?...

...Basterebbe avere una LIM in aula e sarebbero adatti gli ambienti troppo saturi di studenti rispetto ad una didattica sempre più inclusiva e di ricerca-azione? Soprattutto, gli spazi mentali, quelli che scandiscono il tempo scuola ed il curricolo con il libro ed il programma, nonostante ormai di programma non si parli più e nonostante il libro abbia, oggi, a seconda della pratica, una funzione di strumento e di fine al tempo stesso, questi spazi mentali sono abbastanza aperti e pronti ad assumere nuove prospettive e nuove visioni didattiche? ….. E poi...ci sono competenze autentiche e diffuse a tutti i livelli della piramide, sempre più feudale, di una scuola affollata da figure sempre più strategiche e di sistema, expertise manageriali, direi, che siano, però, capaci di “capire” e sostenere queste pratiche? Rifletto su questo punto perché, a dispetto di tanta innovazione, nella scuola appare sempre tutto molto difficile per un docente che, alla fine, si deve allineare, comunque, alla mission della scuola votata ad una direzione spesso tracciata da logiche ed interessi solo di profitto; capita, e non dovrebbe, che la didattica venga alienata al progetto in sé, e non alla cultura dello studio e della ricerca sul metodo per la persona.

In questo panorama, allora, può succedere che un docente“viaggi” più veloce o diversamente rispetto alla direzione che la scuola persegue, ancorata e “ingabbiata” in politiche formative ormai fini a se stesse. Qualcuno potrebbe sollevarmi però, a questo punto, delle obiezioni, quasi come se io disconoscessi o, peggio, non avessi percezione del tanto buon operato praticato da istituti virtuosi che, negli ultimi anni, hanno “sconvolto” spazi e tempi con coraggio e determinismo organizzativo o, nel caso specifico, dalle azioni di numerosi e abili docentes “sviluppatori”che hanno costruito ad oggi realtà virtuali educative, proponendo percorsi didattici d'avanguardia. Senza voler porre alcun dubbio del genere faccio qui, però, delle considerazioni sul fatto che con la DAD, “famigerata” DAD, sono uscite “fuori”, letteralmente allo scoperto, le competenze effettive di chi sa e sa fare didattica ricorrendo alle “buone pratiche educative”, buone perché lontane dalla standardizzazione di un insegnamento statico e routinante e per niente“schiave”, al tempo stesso, dell'apparire e dell'arte del promuoversi, oggi di moda e di necessità agli Enti e alla scuola in quanto tale, nel significato di una logica più di mercato.

Queste pratiche, infatti, nel precovid, occupavano, una posizione di secondo piano, relegate al momento della vetrina per l'”attimo fuggente” , selfpromotion, di un openday, o a trofeo di una certa didattica  o a magnifica dimostrazione, a volte piuttosto sterile, che la scuola è anche sperimentazione e “produzione” di cultura pedagogica; il tutto mentre il primo piano della quotidianità, era e rimaneva spazio esclusivo della classica e rassicurante consuetudine dell'impostazione storicistica dei saperi basata su una logica consequenziale, per la pace di tutti, espressione di una certa “tradizionalità”, vestita, solo talvolta, di innovazione.Dunque è grazie alla DAD che quelle esperienze o sperimentazioni didattiche sane ed autentiche, d'improvviso ottimizzate dall'utilizzo di una tecnologia  intesa “medium” nel processo di insegnamento/apprendimento e al contempo aula virtuale, ecco che quelle pratiche, per chi le ha sapute sempre coltivare, ritornano utili e funzionali non più solo alla vetrina e all'immagine, ma ora più che mai alla sostanza, atte a sostenere, cioè, il compito di una scuola rimodulata e traslata nello spazio e nel tempo in una dimensione lontana dalla fisicità, in un iperuranio in rete per forza di causa maggiore.

Allora diventano facoltà primarie la dimistichezza, la padronanza, l'abilità, non solo nel “manipolare” o conoscere certi tools e certe piattaforme in modo anche critico, ma anche e soprattutto il progettare la didattica, le metodologie e le pratiche che ne derivano secondo la logica dell' instructional design funzionale ad azioni educative ben mirate e non promosse per inerzia; azioni che sappiano davvero dare senso e consistenza al tempo speso nel virtuale, rivalutando, così,  anche il significato di un progetto ampio perchè volto alla quotidianità disciplinare e interdisciplinare e non più isolato nell'occasionalità di un percorso.Senza essere docenti necessariamente smart 2.0 o 3,4,5.0, bisogna a priori gestire in modo ingegneristico la didattica, valorizzando la qualità principe, il cuore della programmazione che è la flessibilità nei metodi, nei tempi e nelle strutture dei contenuti, qualità che rendono libero l'insegnante, libero di ricercare, scegliere, trasmettere e promuovere cultura. Dunque nell' instructional design ci vuole capacità di saper pensare le azioni  didattiche, saperle dosare e coordinare secondo uno scopo volto a garantire apprendimento. 

Nella DAD, allora, cosa cambia? In particolare e necessariamente, viene enfatizzata la tecnologia di cui bisogna, però, anche saperne assimilare nell'abilità progettuale il momento funzionale che sia finalizzato, in primis, alla lezione, alla sua realizzazione e al suo essere “contenuto” e nello stesso tempo “learning object”in senso ampio; quindi costruire la lezione avvalendosi di tutti gli “attrezzi” che la metodologia postmoderna mette a disposizione senza scadere per restare vittime del “tecnocraticismo”, ma sapendo “incastrare” gli stessi attrezzi nella classica tradizionalità senza tempo che da sempre connota la scuola come tempio di un sapere  mai perso e, per questo, prezioso in quanto costituisce la memoria per l'uomo nella prospettiva di una Bildung- Acone- significativa di ciascuno e di tutti. Due precisazioni ancora prima di proseguire, una riguarda la doverosa analisi di cosa sia la pratica educativa e di cosa invece sia la didattica, l'altra riguarda la sottoscritta e la sua formazione culturale pedagogica ... tengo a dire che io ho lo spirito libero di una semplice insegnante a cui è piaciuto sempre sperimentare senza mai rincorrere, però, effetti speciali o straordinari legati a quella pratica educativa o vincolati a quello strumento digitale; ho lavorato e lavoro provando e riprovando varie tecniche educative a seconda del momento e del setting che mi ritrovo davanti; no ho mai promosso certezze o convincimenti pedagogici… ...mi spiace deludervi ma la mia filosofia pedagogica è che in ambito educativo soluzioni definitive non si potranno mai avere perchè ciò con cui e su cui noi docenti operiamo è, di per sè, qualcosa di davvero imprevedibile e variegato. La persona con la sua formazione, a mio avviso, è un meraviglioso universo che non merita recinzioni o corsie precostituite da scuole di pensiero, necessita solo di una guida, una guida che sappia strutturare e far vivere esperienze significative arricchenti e screziate proprio com'è lo sviluppo che ne connota la crescita.

Aggiungo, inoltre, e qui posso destare provocazione, che,  pur avendo sempre apprezzato qualsiasi approccio didattico nuovo e pur avendo sperimentato di tutto e di più con o senza le tecnologie, trovo che la lezione frontale rimanga l'unica vera certezza e l'unico sostrato che dà senso alla mia professione. Lo so, è sconvolgente quanto io stia affermando, ma ne sono fermamente convinta con giusta cognizione di causa. Con questo assolutamente non intendo rinnegare il cambiamento, la ricerca didattica e metodologica, assolutamente no, anzi il mio intento di insegnante è quello di arricchire e vestire la lezione frontale di nuovi abiti, nuovi accessori che permettano di potenziarne il ruolo e la funzione nel processo educativo. Insomma, vero è che non si può fare a meno del momento frontale in un processo di apprendimento e nessuna pratica, per questo, può eludere tale momento perché è in questo frangente, quello della convergenza, che c'è lo sviluppo della metacognizione; sia esso pensato ad inizio sia esso previsto a fine lezione, rappresenta la riflessione per la consapevolezza e dunque padronanza della conoscenza che, dopo, solo dopo  con l'esercizio e l'esperienza diventa abilità, la quale abilità se contestualizzata e vissuta in una dimensione trasversale del sapere matura in competenza. 

Non sono, intendiamoci, contro la scuola delle competenze, ma per le discipline che mi appartengono, o io appartengo loro, necessariamente devo valorizzare anche la scuola delle conoscenze e come fare ciò se non imparando a dare alla vecchia lectio una dimensione non “puramente trasmissiva” - Trinchero 2013-? Ecco, allora, che l'istruzionalità diventa efficace se nella trasmissività introduco nuovi elementi che rendono il soggetto, l'alunno, attivo nell'attenzione perchè motivato, catturato dalla sua stessa attenzione.. ..come attivare, allora, certi processi durante la trasmissività, intrinsecamente  “malata” di passività? Come favorire, direbbe il Dewey l'“esplicitazione delle operazioni del pensare per giungere al controllo delle stesse e alla conoscenza nonché promozione e formazione della persona” in una classica istruzione? Siamo, ora, nella sfera della pratica educativa che è un'azione efficace didatticamente quando la relazione tra docente e discente tocca tutti gli aspetti della persona.. ...qualunque metodo didattico, allora, diventa buona pratica se si attua con azioni che diventano formative perchè coinvolgenti la persona e non finalizzate ai soli principi che ne stanno alla base; ogni pratica educativa, quindi, può includere  e prevedere metodi diversi, così la lezione frontale risulta vincentes quando ingloba in sé tecniche di insegnamento attivo come il PBL ad esempio, oppure quando secondo l'impostazione degli “organizzatori anticipati” di Ausubel propone agli alunni un'introduzione degli argomenti trattati riguardo ad un tema attraverso mappe e schemi...eccoci, allora, giunti al mio quid...

.. in questo immagino la didattica che verrà... in questa abilità di saper coniugare il “vecchio e nuovo”, niente di particolare, anzi, per certuni è ovvietà già tentata, ma un'abilità pensata nella prospettiva di una didattica a distanza che obbliga già il movimento e l'azione nello spazio virtuale e che, per questo, solo apparentemente potrebbe mortificare l'idea di un laboratorio didattico o la possibilità di un collaborative researching in sincrono. L'incontro tra la lezione frontale e la didattica immersiva, all'indomani della scuola del covid19, fase tre, da gestire ora in presenza, ora a distanza prevede, inevitabilmente, l'ambiente virtuale che diventa, a questo punto, la mia aula e l'immersività è il contesto educativo che mi dà occasione di conferire efficacia alla mia lezione frontale, proprio quella che contempla gli alunni di fronte al docente anche se fisicamente saremo di fronte al monitor. La nostra relazione, allora, si costruisce con i nostri avatar che interagiscono, ascoltano, riflettono, pongono domande, ma possono anche operare, ricercare e progettare insieme..ma cosa c'è, in sostanza, di affascinante nel realizzare una lezione frontale nei mondi virtuali? 

Procediamo con ordine, in primis, c'è che il docente può materializzare con arte e creatività i propri contenuti in scenari che ricostruiscono un'ambientazione e, minuziosamente, ricreano una situazione diventando, così, libro “vivo”per gli studenti. Gli allievi, anche se fisicamente distanti, possono condividere nello stesso mondo lo spazio per muoversi, esplorare e per “immergersi”in un sito storico passato, vivendo come allora e vestendo secondo le tradizioni del tempo o visitare una mostra in un museo virtuale.....ad esempio per la mia disciplina ho animato la lezione frontale invitando i miei alunni nell'antico scenario della scuola peripatetica di Aristotele e, simulando la camminata tra i peripatoi, ho spiegato con l'ausilio di pannelli costruiti in PPT la Metafisica e il concetto di sostanza ...a mò di una lezione autentica di Aristotele, interagendo con il suo avatar – realizzato con make human- nel suo tempo e nel suo Ginnasio. Abbiamo vissuto e concretizzato il nostro “libro vivo”, ma, certamente le potenzialità della didattica immersiva vanno oltre in quanto i ragazzi possono, essi stessi, diventare “architetti” dei contenuti e del sapere insieme al docente. La lezione frontale incentrata sulla lettura e decodifica dei testi, incontrando la didattica immersiva si amplia di immagini e scene che ne accompagnano la spiegazione e in questa dimensione le stesse immagini acquistano anche un valore nuovo. 

Leggere le immagini, infatti, è molto più semplice e dalle origini della storia ad oggi si è sempre ricorso alle immagini per favorire la comunicazione veloce ed immediata; è chiaro che la comunicazione visiva nella massmedialità postmoderna la fa da padrona e il rischio è proprio quello di “rammollire”, come direbbe Postman, le facoltà superiori della mente nell'effimero flusso delle immagini che ci scorrono davanti, perdendo, così, l'esercizio di strutture che, nella flessibilità intesa da tanto strutturalismo bruneriano, maturano il ragionamento formale. 

Ecco il pregio della lezione frontale, seppur vetusta e arida, è proprio quello di sollecitare, invece, i processi del pensiero altrimenti passivi di fronte al fluire veloce di qualsiasi riproduzione; tuttavia, nonostante ciò, la classica istruzionalità si scontra con la dinamicità che il cambiamento veloce impone. Ecco, allora, il vantaggio di pensare che la classica lezione trasmissiva sposi la didattica immersiva per “ringiovanirsi” e arricchirsi del linguaggio attuale, quello iconico e scenico, sfruttando tutte le valenze che questo linguaggio esercita sul cervello. Difatti, mentre la semplice lettura o il semplice ascolto attivano processi di decodifica o transcodifica stimolando l'area sinistra del cervello, l'approccio visuale sollecita l'emisfero destro correlato alla funzione del “cervello emozionale” coinvolgendo in toto la persona favorendone partecipazione e motivazione. Ecco che la lezione acquista vitalità anche se la vitalità sostanziale non è data dalla combinazione delle due pratiche quanto piuttosto dalla componente umana che resta, comunque, fondamentale.Insegno storia e filosofia ma le mie lezioni non hanno mai avuto “morte attentiva” e questo grazie alle pratiche adottate, ai tempi gestiti con vivacità, stimolando sempre e continuamente un ascolto attivo nei miei ragazzi. Le tecnologie sono avvincenti, è vero, ma quando coinvolgono e “immergono”, ma la vera efficacia dipende sempre dall'operato del docente, dalla capacità di interagire emozionalmente e condividere punti di vista e di osservazione. 

E' l'attivismo mentale che si deve saper promuovere nella didattica in genere e ancor più in quella frontale; questa rappresenta la vera sfida da vincere oggi. La didattica che verrà, dunque, come sarà? Sia che sarà a distanza sia in presenza, non dovrà perdere il primo piano conquistato nell'improvvisa emergenza del Covid19..l' anno che verrà continuerà con l'elogio alla DAD, non per la DAD in sé, quanto piuttosto per l'aver riportato alla ribalta il valore e l'importanza del fare buona didattica tradotta in buone pratiche educative, spogliando per un attimo la scuola del suo progettificio estremo.Paradossalmente, proprio quando fisicamente la scuola si è fermata, è continuata a vivere solo nella sua essenza viva nel virtuale grazie alle tecnologie che hanno “ospitato” tanta metodologia “costringendo” al cambiamento la tradizionale istruzionalità. Cosa ci si aspetta ora da questo anno zero? Ci si aspetta che la didattica conservi quel primo posto e che la scuola ri-modulata re-visionata e ri.organizzata per l'emergenza virus abbia l'occasione di riflettere sulle sue primarie finalità legate certamente e indiscutibilmente a produrre della buona e vera didattica.

Maria Giuseppina Giammetti laureata in Pedagogia presso Univ. di Salerno  è docente presso il Liceo Manzoni di Caserta Inizia a lavorare nel1991 come docente di scuola primaria e nel 1993 consegue il titolo di insegnante specialista/specializzata di lingua inglese. Ha ricoperto nella scuola diversi ruoli e compiti quali, Referente di educazione alla salute e per circa diciassette anni ha operato come funzione strumentale svolgendo diverse aree occupandosi in prevalenza di gestione dell'Offerta Formativa e di Formazione docenti. Nell'arco di questo periodo più volte ricopre l'incarico anche di Referente Qualità e Referente Invalsi, gestendo laCommissione Qualità per l’autovalutazione di Istituto con l'impianto del RAV e del PdM.Nel 2006 consegue la Patente Popper per l’insegnamento della Cinematografia nelle scuole e supera un corso di perfezionamento sulla Dirigenza presso l’Università di Firenze. Nel 2010 partecipa al progetto School Sharing della Regione Campania dedicato alle best practice.  Più volte formatore dei neoassunti sulle nuove metodologie e sulle tecniche di insegnamento attivo, sulla valutazione per l'Ambito 7.Inizia anche una nuova esperienza didattica sui mondi virtuali attraverso la piattaforma Edmondo. Nel 2016 consegue il Master MUNDIS sulla Dirigenza presso l’Università Tor Vergata di Roma; supera una formazione dell'Invalsi in collaborazione con il MIP e diventa esperto di valutazione e autovalutazione dei sistemi ; diventa formatore della didattica del project management per una formazione con la PMI Micron e un progetto della Regione Campania che la individua come una dei pochi docenti che hanno sperimentato la pratica educativa al sud Italia. Attualmente funzione Strumentale Area 1 presso il Liceo Manzoni CE responsabile Rav e Pdm, redige la prima rendicontazione sociale. Impegnata nelle Avanguardie Educative per una formazione a largo spettro sulla didattica innovativa e per la sperimentazione di MEE, Minecraft Education Edition. 

 

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