"LA LEADERSHIP DEL DIRIGENTE E DEL DOCENTE DELL’AUTONOMIA: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA”

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La scuola italiana è sempre stata al centro delle dinamiche politico-culturali del paese, come dimostrato dalle continue riforme nella scuola, legata alle “maestranze” politiche che si sono affermate nel corso dei secoli. Se nei tempi passati, tutto ciò era garanzia di orientare le leve emergenti verso il servilismo allo Stato, oggi, le pressioni politiche sul mondo scuola sono di natura prevalentemente economica e demagogica.

 Infatti, come previsto al comma 4 dell’art.97 della Costituzione italiana, l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si realizza “mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”, parole che hanno lasciato ampio margine di interpretazione e successive manipolazioni speculative di ordine politico ed economico. Il tema del rapporto tra istruzione e pubblici poteri percorre tutta la storia dell’occidente, affondando le sue radici fin nell’antichità. 

Secondo Barbagallo C nel suo libro Lo Stato e l’istruzione pubblica nell’Impero Romano del 1911,  Aristotele identificava come uno stringente dovere per chi deteneva il potere politico quello di legiferare sull’educazione. Cesare, Augusto e poi Vespasiano avevano introdotto delle misure specifiche in favore dei professori, poi confluite e consolidatesi nel Codice Giustinianeo in cui l’approvazione delle nomine degli insegnanti da parte del comune, spettava all’imperatore. Da ciò emerge l’importanza che i romani attribuivano all’insegnamento, definito “gravissima dignitas” nel Codice Teodosiano (438 d.C.). Con il lento disgregarsi dell’Impero Romano, in epoca medievale al ruolo delle istituzioni pubbliche imperiali in ambito educativo va progressivamente sostituendosi quello della Chiesa con i suoi ordini religiosi. Con la nascita dello Stato moderno, però, questa confusa pluralità di forme, che aveva nell’elemento religioso il suo fattore unificante, si scontra con le finalità della nascente istituzione statale che viene chiamata, fino ad ora,  a formare l’uomo civile e l’educazione diviene  funzionale rispetto alla costruzione dello Stato moderno. Soltanto nel 1848 Carlo Alberto, tramite il ministro Boncompagni, istituiva il Ministero della Pubblica Istruzione.

Il processo di democratizzazione, decentramento e destatalizzazione, cui si assiste dopo quasi due millenni, determina grandi cambiamenti e si indirizza a conferire autonomia, sia nel ruolo  che nella funzione, alle due figure portanti afferenti al mondo della Scuola: Il Dirigente Scolastico e il Docente. Il concetto di decentramento ed autonomia (solo amministrativa) viene  avviato già con i Decreti Delegati.Il Capo d’Istituto è delineato come un pubblico funzionario, di “uffici-organi complessi, tecnici, forniti di autonomia amministrativa. Tali Decreti garantivano il diritto di assemblea, la libertà di insegnamento, le libertà sindacali per tutto il personale della scuola; riformando gli stati giuridici ed il trattamento economico di docenti, dirigenti, ispettori e personale ausiliario, tecnico e amministrativo. Il Capo d’istituto si configurava come colui che “presiede alla gestione unitaria” della scuola, riconducendo ad unità i molteplici apporti delle diverse componenti; era promotore e coordinatore della vita dell’istituto nel suo complesso, occupandosi nello specifico degli aspetti più strettamente connessi con l’attività educativa, quali l’aggiornamento e la sperimentazione; ma perdeva i poteri di verifica e di controllo dell’azione didattica dell’insegnante. 

In sostanza, risultava un ruolo di “primus inter pares”, a cui non era consentito giudicare e valutare, pur essendo egli stesso valutato dal superiore gerarchico. Ancora oggi, molti Dirigenti Scolastici preferiscono essere denominati con l’appellativo di Preside e non quello di DS. Eppure, a ben guardare, tra preside e dirigente, è proprio il termine “preside” a richiamare un maggiore rigore e una maggiore disciplina, in quanto è di derivazione militare. Inoltre, rispecchia meglio, nella sua etimologia, quel ruolo di “presidio dello stato” che è stato suo, appunto fino alla legge 59 del 1997, cioè fino alla stagione delle riforme nel segno dell’autonomia e del decentramento. Proprio a quell’epoca, si è adottato il termine “dirigente” che richiama uno scopo diverso, più condivisibile: non più quello di sorvegliare un avamposto statale, ma quello di indicare una meta, uno scopo, una “direzione” dell’agire didattico. Il processo di autonomia culmina con l’entrata in vigore del D.L. n. 165 del 2001, che scaturisce dai precedenti D.L. n.59/97 (art.21) e n. 59/98- Lo spirito della legge, che si collega organicamente al conseguimento dell’autonomia scolastica, è quella di separare nettamente il livello politico da quello amministrativo. 

Allo Stato, tramite il Ministero e le sue articolazioni viene affidato il compito di definire le linee generali del sistema di istruzione, sia in merito agli obiettivi pedagogici che a quelli gestionali, mentre il dirigente di attivare, dirigere, orientare, coordinare i processi nelle singole realtà, in base alle specifiche esigenze e ai bisogni dell’utenza e del territorio.l suo è un ruolo, quindi, estremamente multiforme, di impulso, coordinamento, indirizzo. La sua opera deve risultare trasparente, verificabile, valutabile, sia dagli organismi superiori che da parte degli utenti della scuola. Esso deve, perciò, avere funzioni manageriale e capacità di promuovere una leadership autorevole e diffusa, che deve essere basata su capacità cognitive, relazionali, motivazionali.Il termine leadership è un termine coniato in ambito aziendale così definito “È la qualità della leadership, più di ogni altro fattore, che determina il successo o il fallimento di qualsiasi organizzazione" da Fred Fiedler e Martin Chemers  (teorici della leadership e autori di "Improving Leadership Effectiveness").

Il termine leadership che approda in ambito scolastico, richiama prima il DS e indirettamente il docente ad un nuovo modus operandi e forse ad un nuovo modo d’essere. Sulla base del modello aziendale di successo, al concetto di leadership si affiancano quelli di “vision” e di “mission” e di valori. La vision di un'azienda identifica l'idea dell'imprenditore, il suo sogno e ciò che l'azienda vuole diventare in prospettiva futura. La mission, invece, rappresenta la dichiarazione di intenti di un'azienda, ovvero descrive in che modo devono essere realizzati gli obiettivi giorno per giorno. Analogamente al mondo aziendale privato, nella scuola qualsiasi dirigente scolastico, anche quello fresco di nomina, per non vivere alla giornata deve avere sempre nel proprio cuore e nella propria mente una vision, ovvero avere ben chiaro come vorrebbe che fosse la sua scuola nel breve e nel lungo periodo. 

La vision deve essere condivisa soprattutto con il team docente, ma anche con i collaboratori scolastici, con lo Staff e con la segreteria: se non c’è unità e condivisione tra tutti i lavoratori della scuola, la vision del dirigente è destinata al fallimento, o per lo meno ad affermarsi con maggior fatica. Dalla vision deve poi scaturire la mission, ovvero l'insieme degli obiettivi e delle scelte strategiche che definiscono il ruolo della scuola nei confronti dell’ambiente in cui opera. Dare direttive chiare, definire in modo trasparente la mission da parte del dirigente, aiuta le persone all'interno della scuola a comprendere meglio le priorità del lavoro quotidiano e consente una pianificazione attenta ed efficace dell’offerta formativa. I cambiamenti dell’ambiente dal punto di vista culturale, istituzionale, economico e sociale richiedono un continuo adattamento della vision e della mission. Se questo adattamento non è sempre chiaro e condiviso da tutti (o per lo meno dalla maggioranza, perché in qualsiasi organizzazione c’è sempre chi si oppone per partito preso), allora potrebbero insorgere attriti all'interno dell’istituto e delle persone che vi lavorano. Più persone condividono la vision e la mission promosse dal dirigente (sempre pronto a osservare, ascoltare e rimodulare), più si ha armonia, sinergia, positività, successo nella missione educativa.

I valori fanno da collante nelle relazioni umane all'interno della scuola, sono norme etiche e morali che tengono insieme le persone all'interno di una istituzione. Non ci sono valori se c’è anarchia organizzativa. I valori indicano i paletti, poiché non è possibile raggiungere uno scopo a qualunque costo. A motivo del legame forte tra scuola e territorio, la vision deve essere flessibile e non rigida, capace di rimodellarsi, pur mantenendo sempre le sue linee guida fondamentali, sulle necessità e i bisogni del territorio, per ottenere la condivisione e l’appoggio di tutti gli stakeholders e sempre dal mondo aziendale si fanno prioritari, in una leadership diffusa del DS, i concetti di pianificazione, azione, controllo di feedback dei risultati ed azioni correttive della pianificazione. Questo è ciò che è puntualizzato da Deming e denominato circolo di Deming (PDCA, con le fasi Pianificare Eseguire Verificare e Attuare).Ma cosa è accaduto al docente della scuola dell’autonomia? Neppure lui si è potuto sottrarre ad un’evoluzione e al concetto di leadership che, a differenza di quella del DS, ha come gruppo di riferimento prioritario gli alunni, una leadership educativa. Egli ha il compito di guidare l’alunno con le sue esperienze e con la sua cultura non solo nell’acquisizione di nozioni.

Il compito del docente infatti va oltre la semplice lezione improntata sui programmi, il suo compito è anche quello di mettere ordine alle conoscenze e alle esperienze che l’alunno fa sotto l’influenza dell’ambiente circostante. In una educazione moderna deve sempre essere al centro dell’attenzione,  nel processo educativo, l’alunno in modo da capirne le esigenze e comportarsi di conseguenza. Da sempre quindi, ma soprattutto nel clima scolastico in piena evoluzione di oggi, è in risalto la figura del cosiddetto “docente innovatore”. L’educazione consiste nello stimolare lo sviluppo cognitivo dell’alunno, l’incontro con il mondo e l’acquisizione di competenze e capacità. Affinché ci sia educazione ci deve essere qualcuno che guidi il fanciullo verso la giusta via, che possegga quindi le giuste capacità specifiche e questa persona è naturalmente la figura del docente. Egli deve essere capace di adattare questi programmi alle esigenze della classe e se possibile persino modificarli se questi non sono adeguati. Tutto ciò dovrebbe essere fatto per migliorare il servizio educativo ma non solo dove ci sono situazioni di partenza svantaggiate ma anche dove il servizio educativo vigente è abbastanza soddisfacente. Ciò perché la scuola di oggi non è una scuola statica ma una scuola in continua evoluzione come in continua evoluzione è anche la società in cui opera.

L’opera di innovazione del docente può essere effettuata sia per quanto riguarda il curricolo e i programmi sia per quanto riguarda le metodologie di insegnamento che dovrebbero adattarsi, non solo alla scuola in cui ci si trova, ma anche variare da classe a classe. Questo tipo di docente deve innanzitutto possedere una buona capacità di osservazione cioè deve sapere individuare le disfunzioni del sistema educativo prima di potere intervenire. Inoltre, deve possedere delle buone conoscenze e capacità per riuscire a mettere in pratica l’innovazione. Oltre le conoscenze però il docente deve essere in grado di coinvolgere nella sua mission (esattamente come il DS) anche gli altri stakeholders, quali il preside, i genitori, le istituzioni extra-scolastiche in quanto non è possibile, attuare innovazioni se si rimane nello stato di isolamento in cui spesso i docenti si trovano. Ciò può essere effettuato sia con mezzi formali sia con mezzi informali quali il consiglio di classe,  lo Staff del DS, il Collegio dei docenti, i Dipartimenti ed i referenti, oltre che la Segreteria. In questa scuola nuova dell’autonomia, per una pianificazione efficace, adatta ad un territorio in evoluzione il RAV costituisce un valido esempio documentale di azioni e di feedback, attraverso l’analisi di punti di debolezza, di forza e di opportunità che consente di correggere il tiro sia della vision che della mission per entrambe le due figure del DS e del Docente. 

Il RAV si ispira al modello di analisi SWOT (è l’acronimo di quattro parole: Strengths forze Weaknesses debolezze Opportunities opportunità Threats minacce) ha origini in economia aziendale, come strumento di supporto alla definizione di strategie. E sempre in tema di SWOT, quali sono i punti di debolezza del sistema scuola italiana, in tema di leadership delle due figure? Sicuramente il primo punto di debolezza più grave è da individuare nella mancanza di un ufficio dirigenziale, uno Staff, esonerato dai compiti di docenza, scelto per le competenze e da formare ad hoc. Certamente non può considerarsi esaustivo il misero tentativo introdotto con l’integrazione al comma 5 art. 25 D.lvo 165/2001 ed anche la seguente integrazione al comma 83 art. 1 Legge 107/2015: “Il dirigente scolastico può individuare nell’ambito dell’organico dell’autonomia fino al 10% di docenti “con precise caratteristiche professionali o specializzazioni in gestione, direzione, coordinamento, controllo, pianificazione” che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell’istituzione scolastica”. Siamo tutti consapevoli che, a meno del primo collaboratore del DS, con esonero,  tutte le altre figure dello Staff, soprattutto di istituti comprensivi  (il primo collaboratore si occupa solo di un ordine) non siano in grado di assolvere ad entrambe le funzioni di docente e strumentale senza essere manchevoli nell’una o nell’altra. 

Di certo l’emolumento economico previsto nel MOF per le F.S, per non parlare di quelle dei collaboratori che attingono al FIS, è irrisorio e poco gratificante che genera malessere e malcontenti ed un operato talvolta poco efficiente oppure deputato al sacrificio per una vision e mission che diviene sempre più trasparente.In linea con questa prospettiva altro punto di debolezza appare senz’altro quella di restituire superiorità e dignità intellettuale al profilo professionale docente, sia sul piano della formazione iniziale dei nuovi insegnanti, che su quello del reclutamento, degli aggiornamenti e della verifica del loro lavoro. È triste rilevare che, a seguito di dinamiche economiche, sempre più professionisti di settori in crisi, stiano sfruttando la scuola, oggi unica garanzia di un posto “fisso”.L’approccio al profilo docente, senza passione per la tipologia di lavoro, alla base della leadership del ruolo dell’insegnante non permette di mettere in gioco le competenze di un mondo professionale a favore della scuola, cosa che farebbe crescere l’istituzione scolastica stessa che spesso si pone come un modello chiuso che non dà spazio alle competenze individuali di docenti, acquisite in altri ambiti professionali.

Infatti, una scuola attenta al processo formativo ed educativo dei suoi alunni non può prescindere da una formazione non soltanto del suo personale ma anche delle famiglie che rappresentano l’unico modello educativo contrapposto a quello della scuola. In ultimo ma non meno importante, bisognerebbe rivedere il contratto di lavoro, sia del docente che del dirigente, sia sotto il profilo dei carichi che della remunerazione.Sebbene il modello della scuola inglese abbia introdotto nella scuola, come per le altre pubbliche amministrazioni, l’avanzamento di carriera tra i docenti, a mio avviso, tutto ciò tradisce la mission di una scuola che non deve fare leva sul concetto di meritocrazia, in quanto la scuola è una comunità ben formata sotto il profilo didattico-pedagogico e metodologico, il cui fine non può essere un guadagno personale discriminante tra i docenti, ma quello di puntare al successo formativo degli alunni. La scuola che vorrei, dove la leadership si afferma, dovrebbe essere orientata verso un modello di middle-management con STAFF distaccato dalla funzione docente e formazione specifica e costante di tutti gli Stakeholders, incluse le famiglie del territorio, attraverso la scuola stessa. Per i docenti coordinatori e docenti referenti che implementano la loro funzione docente dovrebbe invece essere previsto un fondo, nel MOF, al pari di quello previsto attualmente per le F.S. 

Il tentativo del bonus premiale della Buona Scuola di avvicinarci al modello inglese di meritocrazia è discriminante e fuorviante, se non umiliante. La scuola delle competenze, così come indicato dal Parlamento Europeo del 2008 non può che passare attraverso la formazione e l’acquisizione di competenze di tutti gli attori coinvolti e cosa non sottovalutabile, attraverso l’adeguamento della retribuzione ai livelli europei.Restituire dignità alla scuola italiana, parlare di leadership, di vision, di mission, di valori, di competenze, di valutazione, quale senso ha se tutte le figure coinvolte non sono sodisfatte e gratificate anche sul piano economico? In quale settore dirigenziale nelle pubbliche amministrazioni, un Dirigente è così poco gratificato come il DS e il DSGA? In quale settore della pubblica amministrazione, un impiegato con titolo di laurea ed abilitazione professionale è così non adeguatamente remunerato come il docente italiano? È corretto che un FIS diventi il mezzo per gratificare, con pochi spiccioli, l’operato dei collaboratori e dell’organigramma, a scapito della progettualità del PTOF?A cosa si riduce dunque la leadership nella scuola senza tutto ciò? La leadership viene ricondotta soltanto a quella capacità individuale che appartiene al singolo DS o Docente e che riesce a guidare, sostenere, motivare e far ottenere il più possibile, a volte anche l’impossibile, da tutti i protagonisti della comunità, nell’interesse di un bene comune ed un ruolo sociale grandissimo, nella consapevolezza dei limiti del sistema ed animata esclusivamente dal senso di mission.

Se lo Stato non interverrà a valorizzare e gratificare nel modo giusto il mondo scuola, sia sotto il profilo strutturale che in termini di risorse umane, non ci sarà spazio per una vera autonomia scolastica e per una leadership efficiente, efficace e verificabile e soprattutto per una scuola democratica dove non prevale l’interesse di pochi verso ruoli di potere e di incarichi, tra l’altro sottopagati, dal FIS o da fondi europei.La scuola, come la Sanità, deve essere rivalutata economicamente e se il COVID-19 ha dato visibilità alla Sanità, con investimenti in risorse umane, per la Scuola cosa si è fatto? Pochi tablet non bastano di certo. Uno Stato che non punta sulla Scuola, al suo riammodernamento e messa in sicurezza delle strutture, all’implementazione di fondi, alla riqualificazione del personale, alla rivalutazione e ridefinizioni di ruoli, quadri e responsabilità e stipendi, cosa può chiedere alla comunità scolastica? Middle management, con esenzione dalla funzione docente o previsione di “quadri” per lo STAFF, formazione diffusa e continua per tutto il personale, adeguamento ai livelli europei delle remunerazioni, investimenti nell’edilizia, dotazione di strumentazione tecnologica, formazione per le famiglie del territorio, questi, a mio avviso, gli ingredienti salienti per una scuola ad alta performance, al passo con l’Europa e con il mondo. La leadership del Dirigente e del Docente farà certamente “un monumento” di una scuola così strutturata.

TIZIANA DRAGOTTA Docente di matematica e scienze nella scuola sec. 1°grado (dal 2005); consulente impatto ambientale per Enti Pubblici e studi tecnici (1994-2017). Formatore per gli Enti locali. Docente in Enti di formazione professionale per la   comunicazione nelle Pubbliche amministrazioni, rivolto ai responsabili URP. Consulente ambientale per Enti pubblici e studi tecnici (1994-2017).  

 

 

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